Abstract

La maggior parte della ricerca sull’influenza della famiglia nello sviluppo psicologico dei bambini riguarda il ruolo delle madri, quali principali caregiver e prime figure che trascorrono più tempo con i figli. Tuttavia anche i padri sono figure importantissime per i bambini, specialmente al giorno d’oggi, in cui molti papà stanno assumendo un ruolo più rilevante nell’educazione dei figli. Il lavoro di counseling proposto si esprime attraverso il racconto di un’esperienza sul campo che ha visto coinvolti più di 40 padri. 26Questo all’interno di un percorso di consapevolezza sul ruolo paterno e sulle capacità di acquisire sapere, saper fare, saper essere in una logica di gruppo e di crescita esperienziale.

Keywords

Padri, genitori, counseling, emozioni, uomini, attaccamento

 

A 5 anni i figli dicono –Mio Padre ha sempre ragione – A 10 anni – Mio padre qualche volta sbaglia – A 15 anni – Mio padre non capisce niente – A 30 anni – A se avessi dato retta a mio padre!

Ricordo quando ero piccolo di aver visto questo quadretto nella cucina della casa dei miei genitori tutti i giorni e per tutti gli anni che ho vissuto con loro. Non ricordo esattamente qual’era l’origine di questo oggetto, se fosse stato dato a mio padre, se l’avesse comprato lui stesso o se qualcuno dei miei fratelli più grandi glielo avesse regalato per la festa del papà. Certo che, come spesso accade per i ricordi dell’infanzia, è rimasto lì, scolpito sulla pietra della memoria. Accade infatti che li recuperiamo proprio quando il nostro percorso ce lo permette e, quando ho deciso di dedicarmi a questo tema, molte immagini del passato sono ritornate. Adesso, che ho superato i 30 anni da molto, mi interrogo sul ruolo e sulle funzioni che un padre (mio padre) ha avuto nella crescita e per il benessere di un bambino. Mio padre sicuramente non aveva “sempre ragione” e questo lo riconosco adesso come lo riconoscevo allora. Allo stesso tempo ha assunto un ruolo determinante per me che, come per tanti figli della mia generazione, ho sempre riposto in mia madre il centro della mia attenzione. “Se quello che i mortali desiderano potesse avverarsi, per prima cosa vorrei il ritorno del padre” è Telemaco, figlio di Ulisse, a parlare così nell’Odissea. Uno dei primi personaggi che, nelle grandi opere dell’umanità, testimonia la sofferenza legata all’assenza paterna.

L’interesse sul ruolo del padre nasce dal bisogno di una ricerca che coinvolge la mia sfera personale e professionale. “Che linea stai dando al tuo attuale lavoro” questa è una di quelle domande che mi fanno spesso colleghi o amici che rimangono stupiti quando scoprono che oramai da anni lavoro con gruppi di uomini che decidono di fare un percorso educativo e di crescita come padri. “Il mio problema al momento è come spostarmi dalla madre al padre” questa risposta sorprende anche me ed è rimasta per un po’ lì, sospesa, prima di svanire. Ma era la risposta o l’inattesa nascita di una domanda? “Insieme padri” è un percorso[1] rivolto a uomini che vivono l’esperienza della paternità e nasce da una domanda profonda che nel mio essere figlio mi sono sempre posto. “Che ruolo ha avuto dentro di me mio padre?” “Cosa mi porto della sua presenza e cosa soffro della sua assenza?” queste e altre domande hanno affollato i miei pensieri sia da un punto di vista umano che professionale, soprattutto dopo aver perso la possibilità di confrontarmi con lui a soli 22 anni (quando una malattia decise di allontanarlo da me). Per questo è nata l’esigenza di costruire un per-corso rivolto ai padri; una categoria, una specie, che da sempre si dibatte all’interno di una pedagogia e psicologia rivolta al mondo delle madri e che oggi non vuole più marcare il territorio dell’ “estinzione” bensì desidera essere riconosciuto nella sua “evoluzione”.

Questa riflessione non vuole essere uno spaccato scientifico sulla psicopedagogia della paternità ma vuole raccontare un’esperienza di counseling significativa, vissuta da più di quaranta padri che hanno scelto di venire il sabato mattina presso il Centro per le Famiglie[2] a parlare di sé, del proprio mondo, delle paure, delle aspettative, delle fantasie e soprattutto del delicato, e fondamentale, rapporto con i propri  figli e figlie.

Tale  premessa illustra un elemento che, anche se con caratteristiche e tempi differenti, accomuna le storie di molti padri e neopadri. La letteratura scientifica ha concentrato molta della propria attenzione sul mondo interiore della futura madre, la cui dimensione emotiva e pedagogica è stata ampiamente perlustrata e analizzata in ogni suo aspetto più intimo e inconscio, anche grazie alla grande diffusione della “teoria sull’attaccamento” (Bowlby, 1976). Ma troppo poco ci si chiede cosa pensa, cosa sente, cosa prova un uomo che deve vivere ed affrontare l’esperienza della paternità. Un uomo che decide di avere un figlio va incontro ad una fase del proprio ciclo di vita che ha un enorme potenziale di trasformazione dell’identità: insieme al proprio figlio un uomo vede nascere un “nuovo se stesso” ricco di emozioni a volte sconosciute. Entrare nella dimensione del “per sempre”, come si entra quando si ha un figlio,  costringe l’uomo a doversi confrontare con la dimensione del “definitivo” (Pellai, 2009), varcando così la soglia di un’avventura priva di navigatori automatici o percorsi tracciati ma che si esprime in un viaggio personale, imprevedibile e sconosciuto. In un contesto storico dove sono mancati i punti di riferimento paterni, e dove l’educazione per cultura veniva affidata totalmente al mondo femminile, diventare padre stimola l’immaginario maschile soprattutto nel pensare di perdere un ruolo di stabilità e indipendenza tipico del proprio ciclo di vita (paura di interrompere la carriera, di non avere più tempo per gli amici ecc.). Le emozioni dei neopapà il più delle volte sono emozioni che non vengono ascoltate ma risultano essere qualcosa da cui scappare e di cui vergognarsi. La vergogna viene vissuta all’interno del percorso e viene condivisa con quella degli altri che si sentono giudicati nelle loro difficoltà e diversità. Solo attraverso la “condivisione” di uno spazio di ascolto umano ed educativo questa emozione viene depauperata della sua “enormità” e vissuta come naturale ed esprimibile.

Il percorso di counseling si è proposto di dare spazio al mondo emotivo dei padri e alle funzioni protettive che essi svolgono sin dai primi momenti di vita del proprio bambino o bambina. Partendo da un approccio teorico che fa riferimento sia ad un modello umanistico-rogersiano (Rogers, 1997) che mette al centro del percorso il cliente (i clienti in questo caso), sia ad un modello gestaltico-integrato (Ginger, 1990) che, attraverso l’uso di tecniche di drammatizzazioni e giochi esperienziali, ha permesso ai papà di sperimentare varie possibilità esistenziali e mettersi in contatto profondo con se stessi.   Dare  uno spazio alla “paternità” per ascoltarne le emozioni, identificarle, esprimerle e avvicinarsi sempre di più al mondo emotivo dei propri figli. Questo attraverso l’uso di una “educazione al linguaggio” come mediatore e creatore di forme espressive nuove o semplicemente diverse da quelle che utilizziamo frequentemente. Ogni apprendimento, perché sia efficace, deve rispettare il ciclo di progressiva distruzione e ricostruzione della realtà e dei suoi significati, ovvero una costante riorganizzazione degli elementi cognitivi e concettuali, affettivi e comportamentali dell’apprendimento stesso. Ogni acquisizione richiede dunque un’operazione di cambiamento. L’introduzione di una nuova informazione, all’interno di percorsi come questo, produce una destrutturazione del precedente equilibrio, con uno stato transitorio di confusione, a volte paura e ambivalenza, verso la ricerca di una nuova combinazione di elementi significativi. “Solo i neonati bagnati amano i cambiamenti” (Von Oech, 1987) questo detto ironicamente sottolinea la profonda verità insita nella difficoltà con cui procediamo nei meccanismi di assimilazione e accomodamento (Piaget, 2001) necessarie nell’evoluzione trasformativa di ogni sviluppo umano. Accettare il cambiamento significa accettare la “disorganizzazione significativa” e quindi andare incontro all’accettazione del cambiamento come una funzione indispensabile per l’orientamento esistenziale (Giusti, Montanari, Spalletta, 2000).

Son vari i temi affrontati durante gli incontri come sono vari i vissuti dei padri che, attraverso la costruzione della fiducia, cominciano a raccontare le loro storie (e a volte i propri drammi) legate a una cultura dove il padre è ancora in molti casi un soggetto di “serie B” rispetto alla madre. Il “padre consapevole”[3] oggi vuole fare il padre e desidera avere l’occasione, alla stessa stregua della madre, di poter esercitare non solo i propri diritti ma anche i propri “doveri” genitoriali, sia in una prospettiva psicodinamica  per acquisire la consapevolezza del compito psicologico ed educativo e “collocarsi” all’interno della relazione madre-figlio, sia in una prospettiva culturale e legislativa dove ancora oggi il padre è vissuto come colui che “sbaglia” e che non ha gli stessi diritti della madre (come è noto, con la Legge 08/02/2006 n. 54, entrata in vigore il 16 marzo 2006, il legislatore ha inteso rimodellare la disciplina dell’affidamento dei figli in materia di separazione ma siamo ancora lontani da un’effettiva attualizzazione).

Altro  tema affrontato durante gli incontri è la relazione tra padri e figlie. Relazione costellata da una serie di difficoltà e pregiudizi che si evidenziano soprattutto nel rapporto che gli uomini vivono con il “femminile”. Tramite il linguaggio, la comunicazione e l’ascolto è possibile mettersi in relazione con il mondo emotivo delle figlie e non solo. E’ emerso fin da subito nella mia esperienza come i problemi educativi nei confronti dei figli fossero legati a una fusione tra la “coppia coniugale” e la “coppia genitoriale” e di come queste due dimensioni si sovrapponessero sempre e comunque. Per questo il percorso ha avuto come obiettivo “costringere” gli uomini a doversi confrontare con aspetti del mondo delle madri (e delle donne) per sviluppare una capacità empatica maggiore. Questo per migliorare il clima comunicativo della coppia e riuscire a condividere i bisogni educativi, affettivi e relazionali dei propri figli, cominciando a considerare la “paternità” come capitale sociale e affettivo.

Il percorso termina con un lavoro sui “pregiudizi” e stereotipi di genere, tanto diffusi nella nostra società. Spesso i padri sono a loro volta disinformati e impreparati ad affrontare temi che riguardano la “diversità” come ad esempio l’omosessualità e l’omogenitorialità. “Sono un essere umano, e nulla di ciò che è umano può apparirmi estraneo”, disse Terenzio, un poeta latino. Vale a dire che essere consapevole della mia umanità significa rendermi conto che, con tutte le differenze che ci sono effettivamente tra gli individui, io sono pure, in qualche modo, dentro ciascuno dei miei simili (Savater, 1995). Questa vuole essere un’occasione di riflessione teorica e pratica su come poter affrontare la “diversità” dei propri figli ed educarsi/educarli al confronto e all’accettazione.

Se è vero che tanto più si parla di una cosa quanto meno se ne ha, la ripresa attuale del tema della paternità non può non essere sospetta. Ma se è vero che il tema viene ripreso in alcuni contesti, particolarmente in quelli psicologici e legislativi, continua a rimanere fortemente marginale in nell’ambito del counseling dove si tratta diffusamente di conflitti, di genitorialità (spesso materna), di sviluppo e di valori ma poco di paternità (Santelli Beccegato, 1991). L’interesse del counseling psicopedagogico è nella comprensione del senso della vita umana e delle possibili modalità di aiuto per viverla al meglio. In quest’accezione non può essere estranea l’attenzione alla paternità, con il suo “senso” nello sviluppo della vita psicologica ed educativa di un figlio e di una figlia,[4] e ai rischi della sua “assenza” che ancora oggi, per motivi probabilmente diversi da quelli di ieri, continua ad esserci. “Aiutare” in questo contesto significa imparare a riconoscere condizioni e momenti legati al rapporto tra padri e figli per costruire possibili occasioni di crescita/confronto e, in ultima istanza, significa potenziare il talento necessario per riuscire a svolgere un ruolo genitoriale, una funzione emotiva e cognitiva necessarie al sano sviluppo di un essere umano.

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Note

[1] “Insieme padri” è finanziato e promosso dal Centro per le Famiglie del Comune di Casalecchio di Reno.

[2] Il percorso si è strutturato in 7 incontri che avevano una durata di tre ore ciascuno.

[3] Non parliamo di tutti gli uomini che diventano padri ma di coloro che scelgono e desiderano esserlo.

[4] Del perché abbiamo bisogno di un padre o di qualcuno che abbia una “funzione paterna” e di quali sono i rischi della sua assenza è argomento che non è possibile trattare in questo breve articolo.

Bibliografia

Andolfi M. (a cura di) (2001), Il padre ritrovato, Milano, Franco Angeli.

Bowlby J. (1976), Attaccamento e perdita, Vol. 1: L’attaccamento alla madre, Torino, Boringhieri.

Bowlby J. (1976), Attaccamento e perdita, Vol. 2: La separazione dalla madre, Torino, Boringhieri.

Braconnier A. (2008), Padri e figlie, Milano, Raffaele Cortina Editore.

Ginger S., (1990), La Gestalt: Terapia del “con-tatto emotivo”, Roma, Mediterraneee.

Giusti E., Montanari C. e Spalletta E. (200), La supervisione clinica integrata, Milano, Masson.

Inhelder B., Piaget J., (2001), La psicologia del bambino, Milano, Einaudi.

Pellai A., (2007), Le mie mani sono le tue ali, Ed. San Paolo, Cinisello balsamo, Milano.

Pellai A., (2009), Nella pancia del papà, Milano, Franco Angeli/le Comete.

Recalcati M. (2011), Cosa resta del padre?, Milano, Raffaele Cortina Editore.

Rogers C. (1997), Terapia centrata sul cliente, La Nuova Italia.

Savater F. (1995), Etica per un figlio, Laterza, Roma-Bari.

Santelli Beccegato L. (1991), Bisogno di valori, La Scuola, Brescia.

Von Oech R. (1987), A Whack on the Side of the Head,  (Cassette), Abridged.