Abstract
L’articolo l’Approccio Biosistemico è suddiviso in due parti. Nella parte iniziale viene spiegata (anche se non in tutti i dettagli) che cosa è la Biosistemica, come è nata, da quali spunti scientifici di studiosi del passato e del presente ha fatto suoi e come si è evoluta. La seconda parte parla di due modelli esperienziali creati dalle autrici dell’articolo sui fondamenti della Biosistemica, applicandone le metodologie. Modelli che sono e vengono usati sia per la gestione dei gruppi e sia per la persona singola.
Keywords
Biosistemica, empatia corporea, curva energetica, ascolto profondo, epistemologia del rispetto, decisione del cuore.
“L’emozione è come un fiume: se è secco siamo nel deserto; se è sovrabbondante anneghiamo”[1]
Il 20 ottobre 2012 Jerome Liss,[2] ideatore e fondatore del Metodo Biosistemico per le relazioni umane e i gruppi di lavoro, se ne è andato, lasciandoci una grande eredità: la Biosistemica. Il suo approccio Biosistemico è stato influenzato dall’attiva collaborazione con Henri Laborit[3] per la neurofisiologia delle emozioni; Ronald Laing[4] per la psichiatria fenomenologica e David Boadella[5] per il modello embriologico. Per la base biologica, oltre a Laborit e a Boadella, troviamo nella parte sistemica, le riflessioni di Von Bertalanffy[6], Bateson[7] e Morin[8] . In ultimo il metodo Biosistemico è nato anche grazie alla collaborazione scientifica con il prof. Maurizio Stupiggia.[9] Il costrutto principale su cui si basa la Biosistemica è considerare mente e corpo come una unità. Questo va a stravolgere il concetto “occidentale” ideato da Cartesio (la distinzione tra corpo e mente e la visione meccanicistica del corpo ovvero separazione fra emozione e intelletto).[10]
Il modello Biosistemico può essere spiegato e compreso attraverso le sue due componenti principali. Infatti la parola stessa Bio-Sistemica contiene già in sé due indicazioni metodologiche. Bio che fa riferimento al nostro corpo, alla sua dinamicità, alla sua vitalità e alle sue oscillazioni tra il sistema “simpatico” e quello “parasimpatico”. Alternanza, questa di simpatico e parasimpatico che deve essere sempre in sincronia e compiersi in modo continuativo ed equilibrato, perché in caso contrario l’individuo andrebbe incontro a “malesseri”di vario tipo, peraltro oggi molto diffusi, come l’esaurimento nervoso o il raggiungimento di uno stato di forte “disagio”.
La parola Sistemica, invece, fa riferimento alla Teoria dei Sistemi. Ciò si riferisce al fatto che i sistemi, nel nostro caso le sensazioni corporee, le emozioni e gli aspetti cognitivi, fanno parte di un unico organismo e che tutti questi sistemi devono collaborare tra loro per un buon funzionamento dell’individuo. Dobbiamo altresì tenere sempre conto che ogni individuo vive ed interagisce in un contesto sociale con cui deve necessariamente relazionarsi. Pertanto affinché ci sia un buon “equilibrio” questa dimensione, ovvero questo sistema dato da sensazioni, emozioni, cognizioni, deve essere pienamente integrato con la nostra vita.
Diventa quindi fondamentale ed anche evidente che qualsiasi persona che mostri un problema emotivo deve essere considerata sia tanto a livello cognitivo e sia a livello corporeo, e quindi come una unica entità. Eppure quanti tra noi, invece, hanno dovuto imparare, sin da piccoli, a bloccare, a fingere o addirittura a inibire le proprie emozioni per potersi adattare al nostro sistema sociale? Ma il corpo e i suoi “segnali”, nonché l’espressione delle emozioni non sono certo meno importanti della sua vita mentale e cognitiva.
Così le idee e i metodi specifici dell’approccio Biosistemico si avvalgono di alcune tecniche di cui qui di seguito accenneremo brevemente le più significative.
L’empatia corporea, una tecnica elaborata da M. Stupiggia sulle basi delle ricerche di Stern[11] sulla relazione madre-bambino, e che consiste nel rispecchiare l’altra persona attraverso i gesti, il portamento, le espressioni non verbali, il ritmo ed il tono della voce. Questo consente di creare una sintonizzazione, tra le due persone, che favorisce empatia e fiducia nella relazione. Il counselor deve avere così l’abilità e la sottigliezza di immedesimarsi nell’altra persona fino a coglierne i pensieri, gli stati d’animo, le emozioni. In sostanza dovrà “connettersi” alla persona che ha davanti a sé sia nella dimensione cognitiva sia corporea.
A questo proposito una tecnica di intervento sul cliente che agisce sia a livello verbale sia corporeo è la curva energetica, che è il modello neurofisiologico elaborato da Gellhorn.[12] Tale modello parte dal presupposto che il sistema nervoso autonomo si distingue in due sezioni principali: il sistema nervoso simpatico e quello parasimpatico. Il sistema nervoso simpatico controlla nell’individuo le reazioni di lotta o di fuga, mentre quello parasimpatico è responsabile del riposo e dell’assimilazione. Nel 1967 Gellhorn, durante i suoi studi, riesaminò e sottolineò l’importanza di un’equilibrata coordinazione attiva tra i due sistemi per mantenere una buona salute del soggetto. E così stati fisici ed emotivi derivati dall’attivazione del sistema simpatico dovranno essere seguiti, ogni volta, dal riposo e dal recupero e quindi dall’attivazione del sistema parasimpatico. Il nostro equilibrio, in sostanza, si baserebbe su una continua alternanza tra questi due sistemi: simpatico e parasimpatico. Nel momento in cui è attivo il sistema simpatico siamo pronti ad agire: aumenta così il ritmo del cuore, della pressione arteriosa, dell’attività muscolare e della respirazione. Mentre quando è attivo il sistema parasimpatico siamo in una fase di recupero e il nostro ritmo cardiaco rallenta, la nostra muscolatura si rilassa, la nostra respirazione diventa più lenta così come anche le altre attività del nostro corpo. Ma il particolare più interessante del modello neurofisiologico di Gellhorn è che tutte le nostre emozioni sono collegate all’attivazione di questi due sistemi. Vivere pertanto le emozioni, esprimerle nella maniera più completa e autentica, significa consentire il passaggio da un sistema all’altro in un equilibrato flusso pieno di vita. Ecco che l’Ascolto Profondo, ideato da J. Liss, che significa ascoltare profondamente e intimamente il cliente accogliendone le emozioni difficili senza soffocarle, senza esprimere suggerimenti o interpretazioni, consente di esplorare la sofferenza altrui e di far scoprire all’altro che in ognuno di noi ci sono sempre capacità positive pronte ad attivarsi. Il senso di sollievo prodotto da una relazione di ascolto di questo tipo, che arriva fino a contattare il mondo interiore della persona, ne è una conferma.
Ma la Biosistemica si avvale, anche, tra le sue metodologie, della parola chiave e della parola direzionale. Così attraverso l’uso della “parola chiave” in connessione con la “parola direzionale,” il counselor ha a sua disposizione un potente strumento linguistico per “connettersi” al cliente e accompagnarlo nel suo percorso auto-trasformativo. Quando, poi, la “parola chiave” e la “parola direzionale” vengono impiegate insieme ad interventi e ad esercizi corporei, allora il counselor potrà arrivare a guidare il cliente ad aprirsi e a riscoprire così molte sue risorse rimaste fino ad allora nascoste e inesplorate anche a lui.
Va ricordato, inoltre, che il counselor nella sua relazione col cliente si avvale anche della Mappa Neurofisiologica delle Emozioni[13] ed è tenuto ad osservare la cosiddetta epistemologia del rispetto, ovvero ad ascoltare chi ha di fronte a sé senza dare interpretazioni, senza consigliare e senza mai giudicare, entrando così in un contatto profondo ed empatico con l’altro, affinché il cliente possa sentirsi veramente accolto senza essere criticato o giudicato. In sostanza, accettando il suo vissuto il counselor ne accetta, anche, “il suo essere”, ossia il suo “stare nel mondo”.
Questa parte teorica della Biosistemica, illustrata fin qui nei suoi passaggi più essenziali, può essere sintetizzata e riassunta in questa breve frase, ma assai efficace: “Il nucleo strutturale di ogni evento emozionale è costituito dall’incontro di una ideazione mentale con il vissuto corporeo”.[14]
Passiamo ora a descrivere in quali situazioni il Metodo Biosistemico può essere applicato e in quali prospettive va collocato, entrando, così, di fatto, nel pragmatico del Counseling Biosistemico e del lavoro del counselor a orientamento Biosistemico. Esponiamo di seguito due esempi di modelli esperienziali che abbiamo ideato.
Questa metodologia si presta molto bene, da un punto di vista esperienziale, sia nell’ambito di sessioni individuali sia di gruppi intensivi. Certo è che il counselor biositemico, sia nel percorso individuale sia di gruppo, non deve perdere di vista i due aspetti o “binari” attraverso cui si articola la sua relazione con il cliente. Da una parte l’aspetto del dialogo e dello scambio verbale tra i due, durante il quale il tema o problema del cliente viene fatto emergere e affrontato attraverso l’ascolto profondo, l’uso di frasi o parole direzionali e di parole chiave. E l’altro aspetto, quello corporeo, essenziale perché si possa parlare a tutti gli effetti di una sessione di Biosistemica. In questa fase il counselor invita il cliente a contattare le proprie sensazioni ed emozioni corporee attraverso degli esercizi pratici, in modo da tracciare, così, nella sua memoria corporea un’esperienza che egli perpetuerà e porterà con sé anche al di fuori della situazione protetta del setting. In questo modo, incontro dopo incontro, piano piano, il counselor arriverà ad agire nel cosiddetto habitat che il cliente si è creato nel tempo per resistere o sopravvivere in presenza di un dato conflitto o di una data situazione problematica, arrivando così ad apportare in esso un nuovo e più funzionale equilibrio esistenziale.
Quindi attraverso il dialogo e gli esercizi corporei si ha come obiettivo primario quello di portare il cliente ad attuare in sé una interazione energetica tra mente e corpo, promuovendo, così, la sua capacità di “autoascolto”, ossia di ascoltarsi, di “sentirsi”, di restare in contatto con sé stesso conseguendo così una buona centratura e padronanza di sé.
Ora ipotizziamo di trovarci in un gruppo in cui tra le persone, adulti o bambini che siano, ci siano state delle situazioni di conflitto, in tal caso la riconciliazione può essere raggiunta certo sì verbalmente, ma anche ricorrendo, più semplicemente e più direttamente, a degli esercizi in cui gli individui inevitabilmente finiscono per riavvicinarsi attraverso un piccolo contatto fisico. L’esercizio qui descritto è detto delle dita esploranti. Riempiamo un cartone con riso, lenticchie e piselli. Le persone che compongono il gruppo vi introdurranno dentro una mano cercando, in principio, solo di assaporare e di restare nel piacere prodotto dal frugare nel mucchio di chicchi: una gradevolissima sensazione per ogni singolo dito! Una sorta di auto massaggio. Poi inviteremo i vari componenti del gruppo a mettersi alla ricerca delle dita altrui. Forse l’inaspettato contatto e il calore delle altre mani, in principio potrà far ritrarre automaticamente e per un attimo la mano ad alcuni, mentre ad altri potrà suscitare un improvviso scoppio di risa. In ogni caso si tasta, si cerca, si esplora con le dita, finché ciascuno non abbia capito e riconosciuto a chi appartenga la mano che ha afferrato.
Alla fine della sessione chiederemo, come counselor, ai presenti un momento di raccoglimento, qualche minuto per ascoltarsi e per contattare come si sentono nel profondo.
In ultimo inviteremo ciascuno dei componenti del gruppo ad esprimere con una parola, una sola parola, ciò che hanno provato durante l’esercizio di contatto.
Questa è una pratica utile al gruppo non solo per riconciliarsi in caso di conflitti, ma anche per calmarsi ed entrare così in uno stato di benessere generale e condiviso. Ciò significa che può essere utilizzato anche come esercizio preparatorio per altri esercizi Biosistemici e non.
Passiamo ora a un’altra pratica che i counselor potranno utilizzare tanto in sessioni individuali che di gruppo. Questo esercizio risulta utile specie quando si intenda portare il cliente a uscire da una condizione di conflitto o di dubbio riguardante una determinata decisione che egli si trova a dover prendere. È chiamato: la decisione del Cuore, potrà avere una durata di circa una quarantina di minuti o più.
Ora dopo aver ascoltato in modo profondo ed empatico il cliente su una decisione che egli non sa e non riesce prendere, lo guidiamo a compiere degli esercizi di riscaldamento. Ci muoviamo insieme a lui per la stanza camminando in ordine sparso, portando le braccia all’indietro per provocare così delle “aperture” e scaricare in questo modo le tensioni e le contratture muscolari date dal “peso” emotivo della situazione conflittuale. Prendiamo poi una “cassettina” – attrezzo utilizzato ampiamente anche nelle pratiche yoga- la portiamo a terra, vi stendiamo sopra un plaid e invitiamo il cliente a sdraiarsi supino su di essa. Con la mascella ben aperta e rilassata, le gambe e il bacino appoggiati a terra, il petto e il torace in apertura e le braccia poggiate oltre la sua testa, facendo delle lievi pressioni sul suo petto e sulle sue braccia lo aiuteremo, così, a mantenere questa “apertura di cuore” per circa una decina di minuti, ricordandogli, di tanto in tanto, di non forzare la respirazione che invece dovrà restare ritmata e con un suono, una specie di vibrazione, continua e ininterrotta. Dopo di che lo invitiamo a sedersi comodamente per terra, magari proprio sopra al suo plaid, a chiudere gli occhi e ad inspirare ed espirare con estrema naturalezza. Lo invitiamo a portare una mano sul petto, precisamente sul cuore, suggerendogli di prestare attenzione, dentro di lui, a che cosa sente, a restare in ascolto della sensazione corporea che avverte. Se sente caldo, freddo, un brivido, una vibrazione, o cos’altro ancora.
È molto importante accompagnare il cliente passaggio dopo passaggio, ricordandogli spesso di respirare, di stare nel proprio respiro e nelle sensazioni che avverte nel proprio corpo di volta in volta.
Lo invitiamo, inoltre, a visualizzare quello che è il suo tema o conflitto e su cui deve prendere la decisione, rammentandogli che il cuore è l’imperatore delle emozioni, è la porta dei sensi. A questo punto, con voce calma, ma ferma, lo invitiamo a prendere le orecchie, le sue orecchie una alla volta e a immaginare di attaccarle al suo cuore, invitandolo poi a percepire “com’è” ascoltare col cuore quel dato problema che vuole risolvere. Gli diciamo poi di prendere i suoi occhi e di attaccarli al cuore, chiedendogli “com’ è” ora vedere dal cuore e col cuore quel dato problema che gli è così caro. Poi passiamo alle mani, prima la destra poi la sinistra e invitiamo così il cliente ad attaccarle al suo cuore chiedendogli “com’ è” toccare quel problema col cuore, “com’è” contattarlo col suo cuore.
Infine diciamo al cliente di portare l’attenzione alle sue labbra, alla sua bocca e ad attaccarla al suo cuore. E gli domandiamo “com’è”, allora e a questo punto, parlare dal cuore e col cuore di quel dato problema? Che sensazione corporea sente nel “parlarne con la voce del suo cuore” ?
Ora il suo cuore ha orecchie, occhi, mani, labbra, voce.[15] E attraverso di esso invitiamo il cliente a guardare e a contattare il suo problema per poter prendere così una decisione il più vicina possibile al suo autentico sentire interiore.
A questo punto gli chiediamo di portare di nuovo la mano sul suo petto, sopra al suo cuore e molto lentamente di aprire gli occhi. Rimanendo per un paio di minuti nel silenzio e guardando intorno a sé: restando in questo stato di cuore.[16]
Infine guideremo il cliente a descrivere le sensazioni corporee che ha avvertito durante l’esercizio, lo porteremo a fermarsi e a indicare “cosa gli diceva la mente” e che “cosa gli diceva il cuore”. Ricordandogli che la mente è il risultato di tutti i nostri condizionamenti, mentre il cuore è la sede della nostra verità più profonda.
Attraverso questo approccio si vuole creare un’esperienza che consenta al cliente di operare su di sé un salto trasformativo e di integrazione delle sue varie parti per dissolvere così il più possibile le situazioni di conflitto interiore. In questo modo il cambiamento, la trasformazione, anche se piccola, viene portata sia nelle mente che nel corpo, perciò “incorporata”, e quindi sarà più difficile che egli la dimentichi in futuro. Potremmo arrivare a dire che attraverso l’esperienza Biosistemica la persona porta nello stomaco, nei polmoni, nel fegato, nel cuore, insomma nella totalità del suo essere sia mentale che corporeo ciò che sta vivendo, guidato e accompagnato dal counselor Biosistemico.
Se per un verso ci sono persone che sembrano pensare unicamente con il cervello accontentandosi, in questo modo, di un approccio di tipo puramente cognitivo e verbale a un problema o a un conflitto interiore, per altro verso, mediante una prospettiva di tipo Biosistemico, si può arrivare, invece, a pensare e a sentire, anche, con tutto il corpo e con tutta l’anima, col sangue, col midollo delle ossa, col cuore, con i polmoni, col ventre, con la vita. In buona sostanza con tutto noi stessi, con tutto il nostro “universo” nella integrazione e nella pienezza di tutto il nostro essere.
In questo modo e per questa via prendersi cura di sé, dissolvere i propri conflitti interiori significa, alla fine, portare nell’ambiente e nella relazione con l’altro non il proprio malessere, la propria insoddisfazione, il proprio bisogno predatorio, ma al contrario il proprio benessere, il proprio equilibrio, la propria capacità di interscambio. Dunque prendersi cura di sé arricchisce l’altro e l’ambiente rendendo più umano l’uomo e più vivibile il mondo.
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Note
[1] Liss J. e Stupiggia M. (1994). La Terapia Biosistemica. Milano: Franco Angeli.
[2] È stato consulente per le Nazioni Unite del World Food Program. Fondatore e Responsabile della Scuola Italiana di Biosistemica, è stato Direttore del S.I.B. (Scuola Italiana di Biosistemica).
[3] Henri Laborit (Hanoi, 21 novembre 1914 – Parigi, 18 maggio 1995) è stato un biologo, filosofo ed etologo francese.
[4] Ronald David Laing (Glasgow, 7 ottobre 1927 – Saint-Tropez, 23 agosto 1989) è stato uno psichiatra scozzese che scrisse estesamente sulla malattia mentale, in particolare sulla psicosi.
[5] David Boadella (6 luglio 1931 a Londra) è uno psicoterapeuta e fondatore della biosintesi psicoterapeutica.
[6] Ludwig von Bertalanffy (Vienna, 19 settembre 1901 – New York, 12 giugno 1972) è stato un biologo austriaco, nonché il fondatore della teoria generale dei sistemi.
[7] Gregory Bateson (Grantchester, 9 maggio 1904 – San Francisco, 4 luglio 1980) è stato un antropologo, sociologo e psicologo britannico, il cui lavoro ha toccato anche molti altri campi (semiotica, linguistica, cibernetica…).
[8] Edgar Nahoum detto Edgar Morin (Parigi, 8 luglio 1921) è un filosofo e sociologo francese.
[9] Psicologo, psicoterapeuta è ad orientamento corporeo. Già Professor Assistant presso la West Deutsche Akademie di Dusseldorf. Insegna Pedagogia Speciale presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Genova, attuale Direttore della Scuola Italiana Biosistemica S.I.B.
[10] vedasi a questo proposito il libro di Damasio Antonio R “L’ errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano”, ed. Adelphi, Milano, 1995.
[11] Daniel Norman Stern (New York, 16 agosto 1934 – Ginevra, 12 novembre 2012) è stato uno psichiatra e psicoanalista statunitense.
[12] Ernst Gellhorn il concetto di equilibrio simpatico – parasimpatico (Gellhorn, 1967).
[13] per una “prima” lettura vedasi www.treccani.it/enciclopedia Mappa Neurofisiologica delle emozioni di K. S. LaBar e J. E. LeDoux.
[14] Liss J. e Stupiggia M. (1994). La Terapia Biosistemica. Milano: Franco Angeli.
[15] Non si parla qui dell’udito propriamente detto, ma dell’ascolto sottile o ascolto del cuore assimilabile al sapersi ascoltare.
[16] Per il taoismo l’immagine corporea del cuore è il fuoco. Il radicamento nel cuore è una sorta di tuffo infinito in sé stessi.
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