Abstract

Breve viaggio nella sospensione del giudizio vista e vissuta da un Counselor. Una panoramica su cosa è il giudizio è indispensabile per iniziare ad affrontare il tema della sua sospensione aiutandoci anche attraverso cenni storico filosofici. Come sappiamo giudicare, come usiamo il giudizio sono temi affrontati e approfonditi con delicatezza perché è un aspetto molto importante della nostra vita, siamo risoluti o riflessivi? Cosa succede in una relazione se non sospendo il giudizio, conosciamo gli effetti? Ho provato a descrivere cosa e come succede quando non siamo in grado di astenerci dal giudicare. Come affrontare in modo pratico la sospensione del giudizio, dalla teoria alla pratica personale e tanti stimoli per trovare il proprio percorso verso l’Epoché.

Keywords

Giudizio, sospensione, epoché, giudicativa, pregiudizio, dubbio.

 

Essere non giudicanti o meglio, diventare non giudicanti è un obiettivo primario anche nel Counseling.

L’esercizio del giudizio è un comportamento innato nell’uomo, legato all’istinto, e affinato nel tempo dall’esperienza e dalle conoscenze acquisite. Per cui se e quando giudichiamo non facciamo altro che affermare la nostra natura umana. Possiamo spingerci oltre e affermare che grazie alla nostra capacità giudicativa possiamo sopravvivere, evitare situazioni pericolose e agire quei comportamenti da cui traiamo gratificazione e benessere.

Eppure ad un certo punto nella storia l’uomo si è posto il problema della sospensione del giudizio, improvvisamente è maturata una necessità filosofica di ricerca della verità e al contempo dell’impossibilità di poterla ottenere attraverso i sensi e l’intelletto. Siamo ai tempi di Pirrone di Elide (360-275 a.C.) e in pieno scetticismo. L’esempio del remo è uno dei primi ad essere considerato: un remo immerso nell’acqua appare ai nostri occhi deformato sembra spezzato, ma è sufficiente alzar- lo per verificarne l’integrità, ma se lo immergo apparirà nuovamente spezzato. I sensi quindi ci ingannano, ciò che ci mostrano è deformato rispetto alla realtà, per cui non ci si può basare su ciò che i nostri sensi percepiscono per giudicare la realtà. Quindi si afferma nel tempo la necessità di dubitare di tutto ciò che si percepisce che diventa condizione sufficiente per sospendere il giudizio.

La nostra capacità giudicante getta le radici nella nostra esperienza, in ciò che abbiamo imparato nella nostra esistenza. Già nella prima infanzia impariamo a giudicare osservando gli adulti con cui viviamo. Durante la nostra crescita possiamo imparare anche da altri modelli di riferimento che incontriamo, come gli insegnanti di scuola o gli adulti che frequentiamo. Questo bagaglio di sapere che si accumula nella nostra mente ci permette di valutare, decidere, giudicare, perché la nostra vita, è anche un continuo succedersi di decisioni piccole e grandi. Per cercare di approfondire il concetto di giudizio ho identificato delle tipologie di giudizio senza preoccuparmi troppo che fossero più o meno conosciute o quasi ovvie, questo mi ha aiutato a capire che esistono delle differenze sostanziali nell’arrivare a formulare i giudizi che utilizzo. Più che rifarmi alle teorie sul giudizio (Aristotele: giudizi universali e particolari oppure Kant: giudizi analitici e sintetici), che invito ad approfondire, ho voluto osservarmi e riflettere su come utilizzo e prende forma in me un giudizio. Sono convinto che averne una buona consapevolezza sia utile nella ricerca di una via per sospendere il giudizio. Sono certo che oltre a quelle qui riportate esistono altre tipologie e potranno esse- re messe in evidenza e annotate attingendo all’esperienza dei singoli, non per fare un elenco, anche se penso che potrebbe essere di qualche utilità didattica, ma perché questa particolare attenzione ci permette di conoscerci meglio.

I tipi di giudizio di cui parlerò hanno almeno un aspetto fonda- mentale che le accomuna nelle loro diversità, ed è la necessità di avere come supporto la certezza (certezza = assenza di dubbio). Ho bisogno di certezza per giudicare. Ogni volta che arrivo alla formulazione di ogni singolo giudizio ho eseguito un lavoro di eliminazione di ogni dubbio e di ogni altra possibilità oltre a quella che rimane disponibile e con la quale formulo il giudizio. Che diventa prima una riflessione cosciente, e quindi un pensiero. Al contrario la persistenza di un dubbio può causare l’impossibilità di raggiungere un giudizio. Non potendo eliminare ogni ulteriore scelta, mantengo più possibilità tra cui scegliere, almeno finché il dubbio non è rimosso.

Le varie forme di giudizio possono essere presenti nel nostro modo di formulare il giudizio. Possiamo in teoria, usarle tutte, ma è probabile che un’attenta osservazione su noi stessi ci permetterebbe di mettere in luce le nostre preferite, quando le utilizziamo, con quale frequenza e in quali circostanze le preferiamo ad altre.

Giudizio critico e giudizio favorevole

Il giudizio di per sé non ha un’accezione né positiva né negativa, quando è il frutto di un’azione giudicativa che ci permette di fare delle scelte per il nostro bene, nel nostro continuo agire quotidiano. Perciò il giudizio, ci può aiutare a perseguire ciò che è il nostro bene o per lo meno, ciò che siamo convinti che in quel momento rappresenti il nostro bene. Qualche volta è possibile che il giudizio contenga un senso critico, una disapprovazione, un rifiuto verso il contesto che stiamo giudicando. In questi casi si parla di giudizio critico. Altre volte è possibile notare come il nostro giudizio contenga invece elementi di accoglienza, di positività e di approvazione: questo è il giudizio favorevole.

È bene rammentare che anche l’approvazione e l’assenso sono giudizi, condividere o approvare scelte o comportamenti può essere frutto di un’azione giudicativa o di preconcetti esattamente come succede per i giudizi critici.

È molto utile acquisire una buona consapevolezza di se stessi circa il tipo di giudizio che riusciamo a utilizzare, perché la misura in cui li agiamo o non li agiamo può rivelarci qualcosa di noi stessi. In quale misura si agisce il giudizio critico e in quale misura si riesce ad esprimere quello favorevole? Per valutarlo possiamo fare una semplice ipotesi nella quale supponiamo che sia ragionevole che nel corso di un periodo di tempo, nella nostra quotidianità sia possibile incontrare situazioni che ci portano ad esprimere potenzialmente sia giudizi positivi sia negativi. L’osservazione ci permetterà di verificare se li usiamo realmente entrambi e in quale misura usiamo l’uno e l’altro. Possiamo riscontra- re di avere un atteggiamento equilibrato, potendo quindi disporre di entrambe le due modalità in modo ragionevole. Oppure, pur avendo a disposizione entrambe le occasioni di giudicare favorevolmente o negativamente, possiamo essere tendenzialmente sbilanciati verso l’una o verso l’altra possibilità. Una situazione possibile vede agire in modo preponderante il giudizio critico e più di rado quello favorevole. Talvolta in situazioni particolari ma non rare, l’espressione del giudizio favorevole si accompagna a uno sforzo mentale per poter essere agita. Spesso si accompagna a un temporaneo vuoto mentale o frasi di circostanza come “non so trovare le parole”, “non so cosa dire”. Qualcuno potrebbe trovare difficile esprimere giudizi positivi. In Analisi Transazionale si potrebbe configurare la possibilità di agire frequentemente il giudizio critico quando il Genitore Critico è molto sviluppato, e per contro il Genitore Affettivo fa un po’ fatica ad emergere.

Nel sentire comune, è probabile, che riferendoci ad una persona giudicante, si sia portati a pensare ad un individuo che esprime spesso forme di giudizio negativo o critico nei confronti degli altri. Mentre quando pensiamo a una persona che agisce frequentemente il giudizio, ma quello positivo, difficilmente troveremo associato il concetto di giudicante. In questo caso possono essere usate espressioni come “è una persona dolce e gentile”. Il giudizio favorevole in Analisi Transazionale è considerato un riconoscimento. È anche possibile verificare una certa tendenza all’utilizzo molto frequente del giudizio positivo, e al contempo una certa rarefazione della capacità di esprimere un giudizio critico. Come spesso accade è importante avere la capacità di variare e di essere bilanciati e pronti ad utilizzare entrambi i giudizi. Un approfondimento utile per raggiungere una buona consapevolezza di se stessi nell’ambito del tema del giudizio, riguarda il nostro dialogo interno, quali giudizi riserviamo a noi stessi? Se mi ascolto posso diventare consapevole di quale forma di giudizio utilizzo più spesso con me stesso, in sostanza se e come mi giudico. E capire, per esempio, se utilizzo più di frequente una valutazione critica oppure mi riconosco dei riconoscimenti positivi. È importante saperlo perché essere particolarmente critici con noi stessi può portarci ad agire la stessa modalità con gli altri, anche quando ci poniamo all’ascolto.

Giudizio negativo e giudizio preconcetto

Spesso utilizziamo il termine giudicare o giudizio senza precisare se il nostro giudizio si rifà ad una precisa e completa valutazione del- la realtà o se invece per esempio prende forma dall’applicazione di un pregiudizio o di un tabù culturale.

L’azione giudicativa la attiviamo quando abbiamo bisogno di giudicare per cui scegliere tra due o più possibilità attraverso l’analisi delle informazioni possedute e quelle che riteniamo utile ricevere. È un vero e proprio lavoro, che dobbiamo intraprendere e portare alla fine. A volte abbiamo la percezione di quanto può essere difficile fare una scelta o formulare un giudizio perché i dati in nostro possesso non ci permetto- no di escludere tutte le alternative. Per poter giudicare la nostra mente ha bisogno di avere sufficienti elementi che le consentano di poter valutare la situazione e capire quale tra le possibilità disponibili è per noi in quel momento la migliore. La nostra mente segue diversi passaggi per arrivare a formulare il giudizio. Nello stesso tempo può anche decide- re di verificare o approfondire alcune informazioni utili per arrivare al giudizio. Oppure può decidere che non ci sono elementi sufficienti per arrivare a una ragionevole conclusione dell’azione giudicante. Per cui il giudizio non viene formulato.

Il giudizio preconcetto è immediato, più semplice dell’azione giudicativa, arriva sempre all’espressione di un giudizio finale, non c’è bisogno di elaborare informazioni, non è un lavoro, fatica zero, è più como- do, ci fa sentire più sicuri e più decisi, queste sono alcune delle possibili motivazioni che giustificano l’utilizzo e l’esistenza dei preconcetti. Peccato che l’applicazione del pregiudizio spesso non ci permette di fare una nostra scelta, ma riproponiamo nel tempo scelte e giudizi fatti da altri in altri tempi che non ci appartengono ma che usiamo perché ci sono stati insegnati.

Faccio un esempio; il mio amico Mario è un poco di buono. È un giudizio che formulo perché io l’ho visto rubare in un negozio. Proviamo a immaginare che altre persone che conoscono Mario giungano a formulare lo stesso giudizio ma le motivazioni siano differenti, ad esempio perché si veste in modo poco curato. Entrambe le affermazioni appaio- no ad un ipotetico ascoltatore come giudizi, ma in realtà solo uno è frutto di un’azione giudicativa. Asserire che Mario è un poco di buono per come si veste è solo un pregiudizio, un luogo comune. Queste persone non hanno elementi sufficienti per agire un’azione giudicativa e arrivare a formulare un giudizio basato sulla valutazione delle informazioni, ma utilizzano un pregiudizio per arrivare a formulare un giudizio.

Quindi senza attivare alcuna azione giudicante assumo come vero e autentico il giudizio che deriva da un preconcetto.

È fondamentale portare avanti un percorso di consapevolezza sul nostro personale modo di essere giudicanti.

Se proveniamo da un ambiente familiare o abbiamo frequentato ambiti in cui venivano utilizzate molte regole, stereotipi e preconcetti è probabile che anche noi a nostra volta attingiamo a questa modalità di giudizio. Ognuno di noi ha dei pregiudizi e li usa.

Una differenza tra il giudizio preconcetto e il giudizio giudicativo è nella possibilità di controllo sul giudizio che elaboro attraverso un’a zione giudicativa e l’impossibilità di controllare un giudizio che nasce da un pregiudizio. Il giudizio giudicativo necessita del mio Adulto della mia capacità di ragionamento, quindi posso intervenire chiedendomi se ho veramente tutti gli elementi per arrivare al giudizio e nel caso gli elementi in mio possesso non siano per me sufficienti posso decidere di sospendere il giudizio.

Oggi incontro una persona, vedo che indossa vestiti eleganti ed è molto curata nell’aspetto il mio giudizio si concretizza in un pensiero preciso “Questa è una persona facoltosa”. Cosa è successo? Ho fatto almeno due cose: la prima, giudico l’aspetto della persona e gli abiti che indossa. La seconda la faccio quando richiamo a livello cosciente un mio pregiudizio: “Le persone facoltose sono curate nell’aspetto e si vestono in modo elegante”. In realtà il mio giudizio è infondato non conosco la persona in questione e non so nulla sulla sua situazione finanziaria. Il pregiudizio mi sottrae al bisogno di valutare la persona, proponendo- mi una comoda soluzione preconfezionata che non esito ad accogliere. Adesso proviamo a pensare che incontro quella persona per sottoporla ad un colloquio di lavoro il cui esito sarà determinante per poter es- sere assunta in azienda. Il mio pregiudizio contamina inevitabilmente l’incontro, forse influenzerà la valutazione che farò di questa persona probabilmente senza che neppure me ne sia potuto accorgere. Allo stesso modo possono essere devianti per esempio pregiudizi su religioni o orientamenti sessuali.

La contaminazione da giudizio

La comunicazione lo sappiamo è un fenomeno circolare, ciò che comunichiamo agli altri è di per sé anche uno stimolo e chi lo riceve tende a modificare o confermare il proprio atteggiamento in funzione degli effetti che lo stimolo genera (paura, rabbia, interesse, curiosità). Per cui gli effetti reali della mia comunicazione li potrò osservare, per esempio, se sto dialogando con una persona, analizzando la risposta che riceverò. Potrò notare un linguaggio acceso e ostile se l’effetto delle mie parole fosse stato di suscitare la rabbia. A quel punto è possibile che a mia volta adatterò il mio atteggiamento e la mia comunicazione in funzione della sollecitazione ricevuta. Anche se la mia intenzione originaria era lungi dalla possibilità di suscitare rabbia nel mio interlocutore, in pochi secondi mi trovo in mezzo ad una accesa discussione. Le parole che usiamo a volte possono sorprenderci per come vengono lette dagli altri. Che possono interpretarle andando a modificare il senso con cui noi le abbiamo pronunciate fino a stravolgerne il significato originale.

La contaminazione da giudizio consiste nel portare all’interno della relazione una comunicazione che contenga un giudizio o una valutazione, sia positiva che negativa. Da quel momento ciò che avviene nella relazione è inevitabilmente influenzato dal giudizio. Si rischia di innescare un effetto di “deriva”, la relazione si sviluppa in modo artificioso come se fosse o attratta o respinta dal significato personale che ognuno attribuisce al giudizio emerso. Viene meno ciò che sarebbe invece opportuno mantenere inalterato, uno svolgimento della comunicazione naturale e spontaneo, estraneo a sollecitazioni maturate da atteggiamenti giudicanti.

Entrambi i giudizi, favorevoli o negativi, se comunicati, interferiscono con il naturale svolgersi della relazione. Andando probabilmente a incoraggiare (giudizio favorevole) o a inibire (giudizio negativo), il comportamento di chi li riceve. Viene modificato il percorso mentale, ed il pensiero che si stava formando ed esprimendo, fino a quel momento, in modo spontaneo e naturale. È opportuno considerare che chi si pone all’ascolto ha una preparazione specifica che gli consente di gestire in modo efficace i giudizi ricevuti, evitando di generare l’effetto di una possibile contaminazione, possiamo dire che con la formazione e l’esperienza si acquisisce una certa tolleranza, che permette di controllare gli effetti di un giudizio ricevuto. Abilità è bene dirlo, che non si può certo attribuire a chi sta seduto sull’altra sedia.

La sospensione del giudizio

Per arrivare al nocciolo della trattazione a questo punto è ragionevole domandarsi: come evito il giudizio? L’unica, per ora, risposta che sono riuscito a darmi è: credo sia impossibile. È nella nostra natura giudicare. Scegliere amico o nemico? Una scelta ancestrale, un bisogno fondamentale e istintivo per garantirsi la sopravvivenza. Quindi giudicare è un’azione naturale e ragionevole; risiede ad un livello profondo della natura umana, ma sappiamo anche che il giudizio mette a rischio l’efficacia della relazione di aiuto. Quindi se vogliamo sospendere il giudizio dobbiamo trovare un percorso individuale, un metodo che possa metterci in condizione di contenere e controllare il nostro congenito modo di convivere e dipendere dall’essere giudicanti, ed io vi propongo questo possibile punto di partenza.

Essere risoluto o contemplativo?

Un atteggiamento giudicante può richiamare in sé una certa risolutezza (Risoluto = Che risolve prontamente; Risolvere = Essere di parere, Giudicare), e possiamo ragionevolmente ipotizzare che spesso è vero anche il contrario, chi attiva un atteggiamento risoluto probabilmente è giudicante. Abbiamo appena asserito che tutti giudichiamo per cui in un certo qual modo siamo giudicanti, ma qui utilizziamo la parola giudicante per indicare una caratteristica precisa legata ad un comportamento utilizzato con una elevata frequenza e una buona ripetitività. Aggiungo che in questi casi la propensione al giudizio spesso prevale sulla possibilità di capire le ragioni dell’altro. C’è meno spazio dedicato all’ascolto che sembra finalizzato all’espressione del giudizio piuttosto che verso un’autentica comprensione.

Un atteggiamento non giudicante spesso è accompagnato da un modo più contemplativo (Contemplativo = Posare lo sguardo e il pensiero verso una cosa e fissarcisi in modo prolungato ed intenso), nell’affrontare gli eventi. Quindi risoluto o contemplativo?

Sorge quasi spontaneo fare un riferimento al ritmo cui viviamo la nostra vita. L’atteggiamento risoluto ci permette di procedere a una velocità elevata, quindi nella nostra giornata possiamo occuparci di molte cose. È un modo di affrontare la vita in linea con ciò che la società ci chiede oggi, fare di più e il più rapidamente possibile. E riuscirci potrebbe essere anche gratificante. L’atteggiamento contemplativo non giudicante, non ammette scorciatoie, il suo scopo non è di arrivare rapidamente a un dunque, ma è di mantenere aperta ogni possibile via affinché i pensieri possano seguire un percorso non contaminato dal pregiudizio e sgombro dal giudizio per giungere ad una spontanea conclusione.

Nel corso della nostra esistenza possiamo trovarci ad affrontare situazioni in cui la risolutezza è fondamentale, mentre in altre l’atteggiamento contemplativo non giudicante, sarebbe quello più utile. È evidente che la cosa migliore sarebbe di poterli utilizzare entrambi per essere pronti a indossare l’abito che di volta in volta più si adatta alle diverse situazioni.

La capacità giudicativa appartiene alla natura umana, per cui è probabile che molte persone possano avere pronto da indossare l’abito della risolutezza giudizio.

Le cose possono essere un po’ diverse per quanto concerne il nostro abito non giudicante. È probabile che non sia altrettanto naturale trovarlo disponibile nel nostro armadio. Essere non giudicanti è una condizione artificiale. Il non giudizio spesso non risiede nei nostri comportamenti innati né in quelli acquisiti con l’esperienza, dobbiamo inventarlo, cucirlo su noi stessi, e riuscirci può diventare un passaggio importante ed un obiettivo personale. È possibile che la nostra stessa natura e la nostra cultura ci pongano in una posizione più o meno distante dalla meta del non giudizio, ma probabilmente tutti dobbiamo percorrere un tragitto, un percorso di crescita personale per avere a disposizione l’abito del non giudizio. La sospensione del giudizio a cui si fa riferimento è un’azione volontaria, precisa, che si mette in atto in contesti circoscritti nei quali si ritiene questa utile, ha un momento di inizio e una fine.

Epoché

Sospendere il giudizio per me significa non essere giudicanti, ma non solo, va inteso anche come strumento per ricordarci l’inviolabilità e l’integrità di ciò che ci viene portato dagli altri e quindi la necessità di evitare di attingere al senso che noi diamo alle cose, per renderci ad esempio più “familiare” il pensiero altrui.

Sospendere il giudizio serve per poter capire fino in fondo l’altro, il suo punto di vista, le sue ragioni. Noi non possiamo guardare con i suoi occhi, possedere le sue conoscenze, o aver vissuto la sua storia. Perfino se detenessimo tutto il suo sapere forse non basterebbe ancora per capire. Ma possiamo provare ad abbandonare per un poco le nostre conoscenze, ciò che ci appartiene e porci di fronte a quello che ci viene portato dismettendo la nostra storia, il nostro sapere per iniziare ad osservare con sguardo marziano, ingenuo e disinteressato.

Quello che credo è che la sospensione del giudizio possa riguardare la creazione di uno stato d’animo, una posizione mentale in cui raccogliersi e da cui attivarsi.

Possiamo ipotizzare almeno due possibilità per arrivare alla sospensione: utilizzando il dubbio, oppure diventando uno spettatore ingenuo e disinteressato (Hussler) o (come sosteneva Berne) avere “uno sguardo marziano”.

È realistico rifarci ai grandi filosofi dell’antichità e quindi dubitare? Ancora oggi il dubbio rende arduo formulare un giudizio, ma riusciamo a fare nostra questa potenzialità? Per poter dubitare devo essere ben saldo sui miei principi e sulle mie convinzioni, dubitare non significa rinunciare alla mia storia ma vuol dire rendere le mie radici culturali così potenti da permettermi di allontanarmi un poco per entrare in contatto con un’altra vita vissuta per accoglierne i principi e i valori che possono anzi probabilmente sono diversi dai miei. Attraverso il dubbio rinnovo e ritrovo i miei valori rendendoli vivi e attuali. Posso stare in contatto con ciò che mi viene portato solo se riesco a percepirlo come un’opportunità e non come una sfida o un’aggressione. Posso lavorare su me stesso e arrivare a dubitare delle mie più profonde convinzioni per il tempo necessario a capire cosa mi stanno portando e accogliere integralmente l’espressione di un pensiero incontaminato. Per guidarci in questa ambito credo si abbia bisogno di una grande fiducia nella bontà profonda dell’essere umano oltre che avere delle radici culturali ben piantate e solide.

Posso diventare uno spettatore ingenuo e disinteressato, e osservare le cose sempre come se fosse la prima volta. Ma perché possa essere sempre una prima volta devo distaccarmi dalle esperienze che ho già vissuto, da ciò che ho già imparato e mantenere viva la curiosità di non sapere cosa può succedere tra un attimo. Osservare sé stessi di fronte alle nuove esperienze e imparare ad essere consapevoli di come ci poniamo di fronte al nuovo, quale atteggiamento adottiamo in questi frangenti, allo scopo di riuscire ad avere un modello di riferimento disponibile per indossarlo quando ci serve. Non sto dicendo che sia facile ma per esempio a me capita qualcosa di simile con i film. Alcuni film pur piacendomi molto non riesco a rivederli perché mi annoio penso già alla scena successiva ed al finale, non riesco a stare nel qui e ora. Ma con altri film questo non mi succede, è evidente che conosco le scene ed il finale, ma la mente non fugge all’istante dopo, resto catalizzato sul qui e ora, non salto alla conclusione, non mi immagino la prossima scena, aspetto che si mostri. So cosa sta per succedere ma è più interessante vederlo, viverlo nel presente piuttosto che visualizzarlo dalla memoria. Questo esempio lo collego alla capacità di osservare e ascoltare vivendo l’esperienza nel qui e ora nel presente come se fosse la prima volta, rinunciando ad attingere a ciò che già ho vissuto o che seguendo l’istinto e generalizzando, riconduco a ciò che di più prossimo la mia mente conserva nella memoria.

La sedia del non giudizio

La sedia del non giudizio è un’invenzione, una fantasia che possiamo utilizzare come spunto per crearne altre o come riferimento concreto che può diventare un utile esercizio per percorrere un tratto di strada verso la sospensione del giudizio. L’applicazione della sospensione del giudizio per me è l’aspetto più carico di aspettative, un po’ perché credo sia utile e necessario passare da una rappresentazione filosofica del concetto alla sua messa in pratica. E non è semplice. Spesso i riferimenti che ho trovato parlano di un percorso personale di crescita, di consapevolezza e di acquisizione della capacità di non essere giudicante (Husslerl). Questo aspetto credo sia necessario portarlo avanti a livello personale. Però possiamo fare qualcosa per aiutarci oltre che per raggiungere un equilibrio interno anche per utilizzarlo in modo appropriato. E così è nata la sedia del non giudizio. La mia sedia del non giudizio è di legno scuro intagliato, solida, bella grande, con due braccioli e uno schienale alto. Posso dire che non è comodissima ma non te ne accorgi subito quando ti siedi. La tengo sempre lì a disposizione. Quando la utilizzo, mi aiuta sempre, la mia sedia fa la sedia e mi sostiene, non si sposta, non ha ruote, mi tiene li, insieme con lei finché non decido di alzarmi, a quel punto vado altrove, dove voglio e ovunque decida di spostarmi non sarò più lì. Quando mi siedo, è perché ho uno scopo preciso, ho deciso di iniziare ad avere un comportamento non giudicante. Associo all’azione non giudicante un posto nella mia mente, lo identifico con l‘oggetto sedia, e l’azione di sedermi è come una liturgia che si ripete ed ha il fine di accompagnarmi e introdurmi nella pratica del non giudizio. È una predisposizione, un ordine mentale che ha uno scopo preciso. Ho la consapevolezza di voler agire in modo non giudicante, una volta che il comportamento diventa più naturale, porsi in modo non giudicante diventa uno dei nostri abiti a disposizione nell’armadio e indossarlo diverrà un’azione istintiva.

Il beneficio del dubbio, la sospensione del giudizio verso noi stessi

Concediamo a noi stessi il beneficio del dubbio, e potremo stare meglio. Questa sollecitazione è dedicata a chi nella sua storia ha agito o agisce tutt’ora verso se stesso in modo giudicante, frequentemente e con una certa intensità. Un’altra piccola traccia di questo modo di agire la possiamo trovare osservando ciò che invece non c’è, e in questo contesto è probabile che raramente riusciamo ad attivare il riconoscimento positivo, non ci si giudica mai bravi. Il momento per darci una carezza e di riconoscerci i nostri meriti e le nostre capacità arriva raramente. Ho voluto dedicare una parte anche al rapporto con noi stessi, focalizzandolo soprattutto su di un comportamento che meno di altri si accosta all’essere empatici ed accoglienti: l’agire in modo ripetuto e con una certa intensità valutazioni critiche nei confronti di noi stessi. Ovviamente la consapevolezza di questo modo di agire ci porta a percepire e a valutarne anche l’intensità con cui lo agiamo su di noi, sia in termini di frequenza sia nel tipo di giudizio che formuliamo e quindi a considerare la possibilità di poter e dover cambiare. Spesso questo modo di agire inibisce altri possibili comportamenti che sarebbero utili e a volte indispensabili in un contesto di relazione. Per esempio avere una buona capacità di dare e darci dei riconoscimenti, di osservare negli altri oltre che in noi stessi le capacità e i valori, l’essere indulgenti verso i nostri errori perché non siamo perfetti, ma a volte sembra che ce ne dimentichiamo. Dobbiamo esserne consapevoli, se abbiamo un Genitore affettivo negativo che tende a influenzare i nostri comportamenti concedendoci una ridotta modalità espressiva per le nostre emozioni, per noi sarà più difficile attivare quelle emozioni e comportamenti che rispondono di più al nostro Bambino Naturale (gioia, felicità, spontaneità) e al nostro Genitore Affettivo. Sarebbe opportuno cercare di recuperare quei comportamenti attivando maggiormente il nostro Bambino Naturale attraverso per esempio, una supervisione o un percorso di crescita personale. Per poterci sedere di fronte al nostro cliente in modo professionale e consapevoli delle nostre capacità.

La mia sollecitazione sta proprio nel concedersi il beneficio del dubbio, la prossima volta che diremo a noi stessi che siamo inadeguati, o che rivolgiamo a noi stessi una critica, l’ennesima, proviamo a prenderci qualche secondo e tratteniamo il fiato, troviamo la forza per mettere in dubbio queste critiche, dubitiamo della bontà del nostro giudizio, del nostro schema di riferimento, e arriviamo a sospendere il giudizio verso noi stessi. Poi stiamo in ascolto per qualche attimo, se sentiremo dentro di noi una vocina di Bambino che grida “evvai che sei un mito!”, forse ha funzionato. Vocine a parte, possiamo realmente provare una sensazione di leggerezza che potrebbe attraversarci il petto, come se un invisibile macigno smettesse di opprimerci e fosse rotolato via per farci provare per qualche bellissimo istante un modo migliore di stare al mondo.

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