Abstract

Il Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva è un intervento che si rivolge a famiglie in difficoltà che necessitano di un aiuto per gestire e superare il momentaneo periodo di malessere. L’intervento di counseling può interrompere il perpetuarsi di situazioni di conflitto e sofferenza, favorendo nella persona e nella famiglia l’acquisizione di modalità relazionali e comunicative più soddisfacenti ed efficaci. Dal punto di vista teorico fa riferimento al lavoro di Carl Rogers e alla nozione di centralità del soggetto, considerando la famiglia come entità soggettiva dotata di una sua unicità. Da un punto di vista applicativo lavora con i componenti della famiglia in quanto soggetti, ognuno con i suoi bisogni, i suoi vissuti e le sue potenzialità. La famiglia è non solo vista come composta di persone, o meglio di soggetti, ma anche come luogo in cui le soggettività si costruiscono, si relazionano, si plasmano in un’ottica sistemica. Il Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva è un intervento integrato perché sintetizza la componente rogersiana e quella sistemica in modo fluido e flessibile. È un intervento integrato in quanto si avvale di ricerche che allargano il quadro teorico di base attraverso riferimenti a lavori appartenenti ad altre discipline dell’umano come la sociologia e la neurobiologia. Filosoficamente si pone all’interno di un quadro di un orizzonte epistemologico di matrice fenomenologico-esistenziale. Obiettivo di questo articolo è presentare le basi rogersiane del Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva e i suoi sviluppi anche attraverso riferimenti esperienziali e applicativi.

Keywords

Famiglia, intervento integrato, conflitto familiare

 

Carl Rogers costituisce, per il Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva, un punto di partenza e un importante riferimento metodologico. Aveva maturato ed elaborato esperienze di lavoro con famiglie in quanto direttore del Rochester Guidance Center dove si effettuavano interventi rivolti a bambini, adolescenti, giovani e alle loro famiglie nell’ambito dei quali “Il counseling […] assumeva spesso un ruolo importante nell’economia del trattamento” (Rogers, 1971, p. 10). Il counseling familiare attribuisce ai genitori un ruolo centrale nell’attivazione del cambiamento e fa sua la posizione di Rogers quando, in Psicoterapia di Consultazione, sostiene la necessità che nel trattamento di un bambino vengano coinvolti i genitori delineando alcuni rischi connessi a un intervento rivolto al solo bambino

[…] la terapia condotta solamente col bambino raggiungerà l’unico risultato di metterlo in profonda opposizione col genitore e aggravare così il problema (Rogers, 1971, p. 71).

Il lavoro con i genitori assume nel counseling familiare un posto importante. In una società come la nostra, in continua trasformazione, guardiamo le famiglie e scopriamo “La varietà nei modi di fare e concepire la famiglia anche nello spazio limitato e nel tempo breve delle proprie relazioni sociali” (Saraceno, 2012, p. 7). Le varietà di essere e di fare famiglia “possono rimanere sottotraccia […] o invece esplodere in momenti di crisi o di passaggio” (Saraceno, 2012, p. 9).

Compito del counseling familiare è occuparsi della famiglia in momenti di crisi o di passaggio e considerare con particolare attenzione i genitori. Chi si prende cura dei genitori? È il felice titolo di un libro di Alessandra Niccolai che evidenzia un bisogno, quello dei genitori, di essere aiutati concretamente nella gestione delle difficoltà familiari. Il counseling familiare promuove, all’interno della famiglia, un cambiamento che si origina dal lavoro con il genitore perché la cura del nucleo familiare inizia con la cura rivolta al genitore. Parte essenziale dell’intervento è stimolare la disponibilità dei genitori a mettersi in discussione e motivare in loro un cambiamento di stile educativo e di atteggiamenti (Niccolai, 2005). Il genitore trova uno spazio di ascolto come soggetto senza una distinzione fra il suo essere persona e il suo essere genitore.

Rogers in Terapia centrata sul cliente racconta:

Avevo lavorato con una madre, molto intelligente il cui figlio aveva una condotta dissociale. Il problema era senz’altro il suo rifiuto del ragazzo, ma dopo molti colloqui non ero ancora in grado di farglielo comprendere (Rogers, 1970, p. 28).

Di fronte al fallimento, Rogers decise la conclusione dell’intervento e i due si avviarono verso la porta per salutarsi, quando la signora si voltò e disse:

Ricevete mai qui degli adulti per consultazioni? Alla risposta affermativa disse di aver bisogno di aiuto. Ritornò sulla sedia che aveva lasciato poco prima e cominciò a sfogare la sua disperazione: il matrimonio fallito, i rapporti infelici col marito, il suo sentimento di fallimento e confusione […]. La vera terapia cominciò allora, e alla fine ebbe molto successo (Rogers, 1970, p. 28).

Questa descrizione rappresenta un elemento significativo per il Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva e contiene spunti teorico-pratici degni di essere analizzati. Rogers riporta questo esempio per sottolineare la necessità di fiducia nei confronti del cliente. Possiamo estendere questa affermazione e dire che il Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva è un intervento che, quando la famiglia è in una situazione di difficoltà, presta particolare attenzione ai genitori come persone e come soggetti con i loro dubbi e le loro sofferenze. Il Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva fa propria la nozione rogersiana della centralità dell’esperienza soggettiva e la applica alla famiglia considerando ogni suo membro come soggetto.

Afferma Rogers in un confronto pubblico con Skinner del 1962:

L’essere umano non potrà mai vivere come un oggetto: può solo vivere soggettivamente (Kirschenbaum, Land Handerson, 2008, p. 71).

L’analisi dell’essere umano, inteso come una coscienza intenzionata e incarnata, è un tema fondamentale nella filosofia contemporanea, specie in ambito fenomenologico (Ales Bello, 2009).[1] È l’elemento cardine del pensiero di Husserl e nucleo intorno al quale si articola il dibattito[2] fra Husserl e Heidegger (Raggiunti, 1998). Senza volerci addentrare in approfondimenti di pertinenza filosofica, lontani dal nostro obiettivo, occorre sottolineare come il tema della centralità del soggetto, di matrice fenomenologica, occupi uno spazio centrale non solo nella ricerca filosofica contemporanea ma in quella di tutte le scienze umane. Il soggetto diventa centro di conoscenza intorno al quale si articola l’opera di pensatori come Ricoeur (Percorsi del riconoscimento, 2005)[3], di neurobiologi come Gallese e di psicanalisti come Stern. Tale interesse evidenzia quanto sia necessario che il professionista dell’aiuto si confronti con l’esistenza umana nella sua dimensione antropologica, considerando quest’ultima la cornice di ogni rapporto interpersonale finalizzato alla comprensione dell’altro.

Anche in sociologia la famiglia è presentata come dotata di una connotazione soggettiva. Chiara Saraceno in un suo recente libro Coppie e famiglie sostiene che oggi non è possibile definire cosa sia la famiglia, “famiglia anagrafica, famiglia legale, famiglia sociale e famiglia degli affetti raramente coincidono” (Saraceno, 2012, p. 8). Non essendo possibile, secondo la sociologa, raccogliere sotto l’unico termine di “famiglia” realtà tanto variegate e differenti fra loro, suggerisce in sua vece l’utilizzo del termine “famiglie”. La soggettività della famiglia è un tema che troviamo anche in Pierpaolo Donati, sociologo, noto per l’approccio relazionale allo studio della famiglia che è concepita come un:

Sistema vivente altamente complesso, differenziato e a confini variabili in cui si realizza quell’esperienza vitale specifica che è fondamentale per la strutturazione dell’individuo come persona (Donati, 2006, p. 16).

Donati definisce la famiglia “Una realtà umana, cioè fatta di soggetti in relazione” (2006, p. 13).

Il Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva è un metodo di lavoro che traduce in pratica l’assunto di base che le famiglie siano entità soggettive uniche e differenti fra loro in cui, quando si sta male, ogni componente del nucleo ha un vissuto personale di quel malessere. Ogni membro della famiglia, in quanto persona con il proprio mondo interiore, può essere ascoltato, compreso e aiutato, come Rogers insegna, perché ognuno di loro porta in sé e in famiglia un suo disagio, un suo bisogno, una sua sofferenza.

Il primo contatto è con il genitore il quale in prima seduta espone il perché del colloquio spesso motivato da difficoltà che ruotano intorno a problemi del figlio e, di conseguenza, alla personale fatica nella ricerca di soluzioni più soddisfacenti.

Sono significative le frasi con le quali una mamma presenta la figlia di 14 anni: “È superficiale, strafottente, non approfondisce, non le interessa niente, non ascolta ciò che le dico. Forse sono io che le sto troppo addosso. Gli insegnanti si lamentano: a scuola non interviene. Forse non si stima abbastanza, non le interessa niente”.

Il counselor ascolta quella descrizione: le parole della madre sono letture personali intrise di emozioni che trasmettono bisogni in cerca di aiuto; lavora con la percezione di una madre che non può comprendere il malessere di una figlia se non ha potuto esplorare, esprimere e rielaborare la propria sofferenza. Rogers sottolinea che:

Se posso stabilire una relazione d’aiuto con me stesso, se posso cioè essere sensibilmente consapevole e ben disposto verso i miei stessi sentimenti, c’è una grande probabilità che possa stabilire una relazione d’aiuto con gli altri (Rogers, 1970, p. 80).

Una madre che sta male non potrà capire gli elementi inefficaci delle proprie modalità comunicative, per farlo dovrà prima aver maturato la possibilità di riflettere sulle sue percezioni e trovare nuove possibilità.

Nell’incontro di counseling il genitore può raccontare la propria esperienza e il proprio vissuto, può condividere i fatti che sono fonte di sofferenza, l’immagine che ha di quei fatti e le emozioni che quei fatti gli suscitano.

Il counseling familiare ha lo scopo di indurre nuovi apprendimenti: per favorire una comprensione del malessere occorre lasciar fluire le emozioni che fanno da intoppo e impediscono che il sistema cognitivo sia sufficientemente libero per attivare un processo di consapevolizzazione.

Rogers riferisce il trattamento con la Signora L:

La madre, durante il primo colloquio, passa metà del tempo portando numerosi esempi, con tono adirato, dell’incorreggibile comportamento di Jim. Racconta dei suoi litigi con la sorella, del suo rifiuto di vestirsi, del suo irritante vizio di canticchiare a tavola, della sua cattiva condotta a scuola, del suo rifiuto di aiutare in casa, e così via. I commenti nei confronti del ragazzo sono tutti estremamente aspri (Rogers, 1971, p. 38).

Rogers riferisce alcuni stralci di seduta e commenta:

L’atteggiamento del consultore consiste unicamente nel non ostacolare questo sfogo di sentimenti ostili e di disprezzo. Egli non tenta neppure di convincere la madre che suo figlio è invece intelligente, sostanzialmente normale e pateticamente desideroso di affetto, anche se tutto ciò corrisponde a verità. In questa fase, quindi l’unica funzione del consultore è quella di incoraggiare il soggetto ad esprimersi liberamente (Rogers, 1971, p. 39).

L’aspetto emozionale è una base fondamentale del Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva: non si può favorire comprensione sul piano cognitivo senza una predisposizione emotiva. Questo elemento metodologico che permea il lavoro di Carl Rogers è confermato dalle ricerche di LeDoux che nel libro Il cervello emotivo[4] dimostra come il processo di apprendimento possa essere mediato soltanto da un’attivazione emotiva:

Quando siamo alle prese con un’emozione, vuol dire che sta accadendo qualcosa di importante, forse una minaccia alla nostra vita, e molte risorse cerebrali sono chiamate a occuparsi del problema (LeDoux, 1998, p. 309)

Una mente è un sistema integrato composto di reti sinaptiche “dedite a funzioni cognitive, emozionali, motivazionali” (LeDoux, 2002, p. 359).

Nel colloquio di counseling i genitori portano i vissuti, le aspettative, le delusioni, la rabbia, il dolore, le paure, il senso di fallimento e di impotenza. Il counselor accoglie e ascolta, ed è proprio l’ascolto a trasmettere riconoscimento a quell’esperienza vissuta (l’Erlebnis husserliano) spesso così dolorosa da non riuscire a diventare parola.

Rogers ci insegna a vedere le persone, i loro sentimenti e a dare loro spazio di parola:

Una volta sfogati completamente i sentimenti negativi, l’individuo quasi inevitabilmente viene a esprimere deboli e cauti impulsi positivi che sono quelli attraverso i quali avviene la maturazione. […] Quanto più sono violente e profonde le espressioni negative purché vengano accettate e riconosciute, tanto più sicuramente seguiranno espressioni positive di amore, di impulsi sociali, di una fondamentale considerazione di sé, di desiderio di maturazione (Rogers, 1971, p. 41).

I genitori di Beatrice raccontano: “La bambina dà testate contro il muro, si graffia, si butta a terra. È come un cavallo pazzo”.

La mamma è stanca, disperata e non riesce a ottenere dalla bambina il rispetto di regole elementari, quindi urla. Se però la mamma urla la bambina diventa incontrollabile tanto che la madre arriva a dire: “Uscire a fare la spesa con lei è un incubo”.

Il counselor permette alla mamma di raccontare e descrivere la propria disperazione e attraverso la mediazione delle parole e dell’accoglienza del counselor, può sentire e riconoscere i suoi sentimenti di rabbia. Il colloquio diventa un’esperienza relazionale nuova, altra rispetto ai suoi schemi abituali. Nel corso della seduta il suo tono di voce si abbassa, l’eloquio rallenta, una maggior calma favorisce la possibilità di riflettere e di leggere in modo più ampio il proprio modo di vivere il suo ruolo di mamma e la sua relazione con la bambina. A fine seduta dice: “Forse dovrei fare qualcosa di diverso”. La frase della mamma viene raccolta e sottolineata dal counselor come prezioso indizio di cambiamento.

Se il genitore esce dalla rigidità di un comportamento disfunzionale e adotta una modalità relazionale più flessibile ed efficace, in qualche modo il counselor ha contribuito a curare quella relazione. Il cambiamento del genitore influenza il figlio e favorisce una circolarità virtuosa: il benessere del genitore produce benessere nel figlio. I professionisti dell’aiuto che lavorano con l’età evolutiva devono poter prestare attenzione, tramite le tecniche dell’ascolto, al vissuto e al sentito del genitore come elemento fondamentale della relazione educativa in famiglia.

Il Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva è un intervento flessibile, fondato sull’ascolto empatico e strutturato su incontri che possono, a seconda dei bisogni, comprendere colloqui con la coppia genitoriale, con l’intera famiglia e/o con i suoi singoli membri. Questa modalità di lavoro considera la famiglia sia come un soggetto, sia come un sistema composto da individui in relazione tra loro, quindi come uno spazio intersoggettivo.

L’intersoggettività è un tema di derivazione filosofica[5] che ha interessato e interessa le molte discipline delle scienze umane tra cui la psicologia dello sviluppo, le neuroscienze cognitive e la psicoanalisi. Tra i clinici dello sviluppo Daniel Stern[6] riflette sul carattere innato dell’esperienza intersoggettiva:

Il nostro sistema nervoso è costruito per “agganciarsi” a quello degli altri esseri umani, in modo che possiamo fare esperienza degli altri come se ci trovassimo nella loro stessa pelle. Disponiamo di una sorta di canale affettivo diretto con i nostri simili che ci consente di entrare in risonanza con loro, di partecipare alle loro esperienze e di condividere le nostre (Stern, 2005, p. 64).

Il counseling familiare è un intervento rivolto alle persone come soggetti, alla famiglia come soggetto e alle relazioni all’interno della famiglia come relazioni intersoggettive. “La nostra vita mentale è frutto di una co-creazione, di un dialogo continuo con le menti degli altri” (Stern, 2005, p. 65). Il concetto di intersoggettività evoca sempre un incontro che si consuma all’interno di una dialettica di reciprocità: un Io non più distante da un Tu ma un Noi.

Il counseling familiare è un intervento integrato che si pone come sintesi fra aspetti rogersiani e sistemici. Riconosce l’importanza di leggere la famiglia come sistema vivente, dinamico e aperto in cui ogni membro è in stretta connessione con gli altri componenti e il cambiamento di uno di essi porta al cambiamento di tutti coloro che costituiscono il sistema stesso.

Analogamente, la comunicazione in famiglia è retta da una logica circolare ed è vista come un processo di scambio di informazioni e di influenzamento reciproco in un determinato contesto.

Il counseling familiare non intende osservare la famiglia e comprenderla attraverso il filtro dell’oggettività, non cerca dati oggettivi, ma solo regolarità soggettive suscettibili di cambiamento.

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Note

[1] Angela Ales Bello è una filosofa italiana, fondatrice e direttrice del Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche con sede a Roma. Le sue pubblicazioni sono prevalentemente rivolte ad indagare la fenomenologia tedesca in rapporto alle altre correnti del pensiero contemporaneo sotto il profilo storico e teoretico.

[2] Discepolo di Husserl, Martin Heidegger si distacca dal suo maestro e alla fenomenologia dell’essenza oppone una fenomenologia dell’esistenza o meglio dell’esistente. Contrariamente al concetto di coscienza pura di Husserl, Heidegger dà una lettura alla realtà umana in termini di Esser-ci (Dasein) ed Essere-con (Mit-Dasein), sottolineandone il carattere di coinvolgimento emotivo e di collocazione di una situazione di fatto che non può essere messa tra parentesi.

[3] Ricoeur in Percorsi del riconoscimento, costruisce quella che egli definisce una sorta di traiettoria dei diversi sensi del concetto di riconoscimento, che parte da un uso in forma attiva del verbo riconoscere (e che individua nel «riconoscere» il significato di «conoscere/identificare») al suo uso in forma passiva (che identifica il riconoscere come «essere riconosciuto» nella reciprocità sé-altro). Il nodo essenziale del percorso filosofico di Ricoeur si compie, nella sua opera, nel passare dalla equazione di senso «riconoscere = conoscere» all’equazione «riconoscere = essere riconosciuti». L’autore sgancia progressivamente il tema del riconoscimento da quello della conoscenza, instaurando l’elemento della reciprocità (sé-altro). Alla fine del percorso (o meglio dei percorsi, come dice il titolo dell’opera) sarà anzi il riconoscimento, inteso come aspetto costitutivo del soggetto conoscente nella dialettica tra il sé e l’altro, a fondare la possibilità stessa del conoscere.

[4] Nel libro Il Cervello Emotivo LeDoux ripropone la storia di uno dei percorsi più importanti delle neuroscienze. Attraverso l’analisi di oltre cento anni di studi sulle emozioni, sono analizzate le progressive conquiste nella comprensione delle funzioni e della struttura del cervello. Ci si trova di fronte ad un’analisi storiografica di rara completezza che, attraverso le ipotesi, gli errori, le teorie scientifiche e filosofiche, svela a poco a poco al lettore quanto sappiamo sulla biochimica delle emozioni.

[5] Il filosofo e teologo Martin Buber (1878-1965) riprende la concezione heideggeriana del rapporto tra un “io” e un “tu” ed elabora il suo pensiero che è una riflessione incentrata sul dialogo e sulla relazione. Nella sua famosa opera L’io e il tu sostiene che l’uomo non è una sostanza ma una fitta rete di rapporti e relazioni: “All’inizio è relazione”.

[6] Lo psichiatra e psicoanalista Daniel Stern è stato fra i più autorevoli esponenti moderni del movimento dell’Infant Research che ha avuto il merito di dimostrare l’importanza delle relazioni precoci nella costruzione dell’identità e della personalità. Stern ha dimostrato che l’essere umano, fin dalla nascita, è “programmato” per relazionarsi con gli altri, confutando così la tesi del “narcisismo primario di Freud” e le teorie a ciò conseguenti, come quella dell’esistenza di una fase “autistica normale” nel neonato. Lo psicanalista parla di “present moment” e “now moment” come momenti di scambio intersoggettivo, a forte pregnanza affettiva, e di riconoscimento reciproco che accadano in seduta che si configurano, all’interno del processo terapeutico, come veri e propri motori del cambiamento al di là dell’interpretazione.

Bibliografia

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