Abstract
Obiettivo generale di un percorso di counseling è un aumento della consapevolezza di sé e della realtà. Ciò significa un ampliamento di conoscenza che, come disse il fisico e filosofo della scienza Moritz Schlick, è uno “strumento al servizio della vita”. In vista di questo specifico obiettivo, il counselor professionista cercherà di favorire nel cliente l’uso delle abilità logiche e argomentative che, implementate attraverso l’uso del pensiero razionale e critico, favoriscono una visione della realtà e dell’esistenza più oggettiva, con la conseguente maggior probabilità di affrontare le scelte e i problemi in maniera efficace. Per agire insieme al cliente in questa direzione, il counselor dovrà conoscere l’arte del ragionamento ossia del processo per cui si derivano conclusioni da premesse, al tempo stesso riconoscendo le insidie che portano a buoni o cattivi ragionamenti. Così il cliente riuscirà ad essere libero intellettualmente, capace di scegliere e consapevole.
Keywords
Counseling filosofico, Carl Rogers, ragionamento, filosofia
Nel Dizionario di Counseling di C. Feltham e W. Dryden, pubblicato nel 1993, all’interno del lemma ‘Counseling’, si legge: «il suo ethos dominante è quello di agevolare piuttosto che offrire consigli o costringere». Nello stesso lemma, riportando la definizione di counseling dell’Associazione Britannica di Counseling (1985), si riporta che «compito del Counseling è quello di dare al cliente un’opportunità di esplorare, scoprire e chiarire dei modi di vivere più fruttuosi e miranti ad un più elevato stato di benessere». Più in generale l’obiettivo del counseling è promuovere nella persona un funzionamento efficace e focalizzarlo sulla soluzione dei problemi. Su questa linea si muove coerentemente la definizione dell’attività di counseling approvata dall’Assemblea dei soci di AssoCounseling il 2 aprile 2011.
Il potenziamento delle proprie risorse che avviene nel counseling riguarda un progetto in cui la persona comprende se stessa e sceglie di vivere in maniera autentica sottraendosi, per quanto realisticamente possibile, ai condizionamenti: sceglie la libertà, la felicità, raggiungendo un certo grado di dominio di sé e, come direbbe Robert Nozick (2001), essendo consapevoli di qualcosa per massimizzare l’adattività allargata.
Il cliente che, con intenzione e libertà, si rivolge ad un counselor, nella più parte dei casi, non è un sofista pigro, ma è una persona che sceglie il proprio destino in direzione di qualcosa. Il cliente tende al benessere che, pur essendo un termine vago, come si direbbe in logica fuzzy1, è quello che meglio indica un certo modo di occuparsi di se stessi.
Al di là dei singoli orientamenti di counseling, il counselor può essere impegnato, con il suo cliente, coppie o gruppi, a favorire lo sviluppo del ragionamento e delle abilità argomentative: in pratica si tratta di usare un metodo per ‘insegnare’ non delle nozioni, ma a predisporre a pensare in modo razionale e critico.
Prima di addentrarmi nello specifico tema del presente lavoro, ritengo opportuno precisare quale sia l’oggetto dei nostri pensieri cioè la realtà.
Nello sfogliare gran parte dei vocabolari di lingua latina, la parola realitas, da cui ‘realtà’ deriva, non c’è. Se cercate ‘realtà’ troverete che in latino si dice veritas. Il sostantivo res, che compone realitas infatti, significa ‘cosa’, ‘fatto’, ‘realtà’, ‘verità’, ma solo nel latino medievale (si veda il dizionario Campanini-Carboni), ed in particolare nel linguaggio filosofico, si sono formati l’aggettivo realis e il sostantivo realitas per designare ciò che è relativo a ‘cosa’ in opposizione all’apparenza.2 Da qui ‘reale’, ‘realtà’ in italiano ed i corrispondenti nelle altre lingue romanze, nonché i prestiti in inglese e tedesco. Quella della Realität rimane, comunque, una questione da chiarire o, almeno, da problematizzare. In tedesco ‘realtà’ può essere detto con la parola Realität oppure Wirklichkeit. A tutta prima si potrebbe pensare ad un ‘doppione’ usato indifferentemente da non specialisti, ma non è così. Realität è più una realtà delle cose date, presente in sé, mentre Wirklichkeit è un ‘vero’ contrapposto a qualcosa di ‘falso’ (invenzione, fantasia, favola), un ‘effettivamente’. In Freud, per chiarire, Realität si riferisce alla realtà psichica, Wirklichkeit, invece, alla realtà esterna.3 È in Kant, ad esempio nella Critica della ragion pura (1781) e in alcuni manoscritti presenti nell’Opus postumum (1936-1938), che il concetto di realtà trova un certo compimento. ‘Realtà’ (Realität) va distinta dalla realtà effettuale espressa da Kant con Wirklichkeit, o Dasein, o Existenz. Realität è una realtà analitica, concettuale; Wirklichkeit, invece, è una realtà sintetica, effettuale: davvero reale. Per Kant un concetto non è di per sé reale: ciò che è prodotto dal pensiero non è di per sé wirklich (reale, ciò che esiste di fatto, nell’esperienza). La Wirklichkeit si aggiunge al pensare dando ad esso un contenuto. Richiamare l’immagine kantiana dei cento talleri può essere esplicativo: un tallero wirklich non è in alcun modo un tallero prodotto dal pensiero; è possibile pensare anche a cento talleri, dichiarandoli realmente esistenti, ma non per questo essi esistono effettivamente, realmente.4
Al di là della natura delle questioni poste durante gli incontri dai clienti, di una cosa siamo certi: il cliente porta una sua realtà che diviene, complessivamente, oggetto di lavoro e indagine.
Per indagare e affrontare consapevolmente la realtà portata dal cliente e offrire metodi affinché lui in maniera autonoma possa affrontare scelte, cambiamenti e dunque arrivare ad una situazione di maggior benessere, è necessario un processo di apprendimento che allena allo sviluppo del pensiero critico e alle abilità argomentative e logiche.
In generale è utile sviluppare la conoscenza cioè la consapevolezza, la comprensione di fatti, la verità o le informazioni ottenute tramite un approccio a-priori o a posteriori, indagando la relazione fra i concetti, i significati, le informazioni, la comunicazione, la rappresentazione.
Bisogna, cioè, sviluppare un pensiero critico e razionale.
Pensare criticamente e razionalmente
Pensare criticamente comporta discernere, analizzare, valutare le proprie conoscenze e convinzioni. Il fine è quello di arrivare a un giudizio abbastanza solido e aperto alla confutazione: sviluppare un’operazione logica che connette un predicato a un soggetto, esprimendo questa connessione nella proposizione attraverso una valutazione e una distinzione. Chiarezza, accuratezza, precisione, evidenza sono i valori e gli strumenti fondamentali per svilupparlo. Per migliorare o far germogliare il pensiero critico è innanzitutto opportuno abbandonare i pregiudizi analizzando gli eventi: per questo è utile porsi la domanda: Che cosa comunica/significa questo evento?
Superare i pregiudizi implica la relativizzazione di ciò che si pensa, in quanto da nessuna parte c’è scritto che quello che si pensa debba per forza essere corretto. L’uomo inventa, crea, costruisce la verità e la realtà che divengono ‘sue’ in quel dato momento, regolando la sua esistenza: questa è la grande portata del costruttivismo (Pontremoli, 2012). Inoltre, nella costruzione che facciamo dobbiamo sempre tenere presente che essa è fatta per scopi e utilità. Il concetto stesso di verità ha scopi e utilità. Quali sono le circostanze pratiche della mia vita che mi portano ad affermare e costruire questa realtà-verità? Quali sono le prove e i motivi che mi inducono a costruire questa realtà-verità? Quale è lo scopo della realtà-verità che sto costruendo? Quale la sua utilità? Come questa costruzione mi porta ad agire? Quali sono i sentimenti e le sensazioni che sottendono a tutta la mia costruzione?
L’errore è considerare definitivo quello che, invece, è mutevole: l’apertura alle possibilità costituisce il bene, il male è, invece, escludere il nuovo, elevando il contingente a necessario.
Per sviluppare un pensiero critico occorrerebbe rispondere a queste domande: Quale è la definizione di…? Come arrivo a questa definizione? Quali sono gli elementi che mi possono far ritenere di aver ragione? Da dove derivano questi elementi? Potrei sbagliarmi? Cosa accadrebbe se mi sbagliassi? È così importante che io abbia ragione su questo argomento? Quali sono le alternative?
Queste domande non portano a una conoscenza certa, ma tutelano contro l’illusione e l’inganno.
La prima cosa da fare, invece, per sviluppare il pensiero razionale è quello che chiamo Esercizio di Epitteto (Pontremoli, 2010); consiste nel dividere la realtà in cose che sono sotto il proprio controllo e cose che non sono sotto il proprio controllo, per verificare dove si possa agire e dove no.
Alcuni clienti, ad esempio, tendono a volere esclusivamente una vita facile e felice, non accettando le difficoltà; altri pretendono amore incondizionato e stima da parte di tutti; altri ancora credono nella necessità di avere al proprio fianco la/il partner per dimostrare il proprio valore. Molti pensieri che causano malessere sono il prodotto di una serie di rigidità o regole non scritte usate dall’individuo. È quindi utile porsi domande quali: Perché devo piacere a tutti? Perché il mondo dovrebbe andare come io voglio? Dov’è scritto che io debba essere stimato?
Le abilità argomentative
Saper argomentare vuol dire riuscire ad addurre valide ragioni a sostegno delle proprie affermazioni utilizzando strumenti teorici e logici.
Il training all’argomentazione è un tassello fondamentale nel counseling per favorire nella persona un’azione quotidiana ponderata e scevra quanto più possibile da automatismi. L’uso dell’argomentazione serve non solo per dialogare con l’esterno, ma anche con se stessi.
L’individuo dovrà abituarsi a portare ragioni a favore di un’asserzione per rafforzarla e per limitare i dubbi possibili. Dovrà scegliere ragioni migliori di altre in modo da produrre argomenti validi, non immediatamente confutabili. A questo scopo la forma dialettica del dialogo (tesi-antitesi-sintesi) è la più efficace in quanto razionale. Così si sarà più predisposti a sviluppare un’attitudine mentale riflessiva e critica.
A volte, tuttavia, si commettono errori cognitivi, denominati bias, cioè vere e proprie distorsioni di pensiero che intervengono nella fase decisionale modificandola e spingendola verso una soluzione non corretta del dilemma decisionale. I principali bias sono il confirmation bias, il bias del miglior esito possibile, la chiusura prematura, il bias dell’information unpacking e l’obbedienza cieca. Gli errori cognitivi sono tutti evitabili e correggibili attraverso delle tecniche di correzione chiamate tecniche di debiasing, alcune delle quali riporto di seguito.
Lo ‘sviluppo della consapevolezza’ avviene descrivendo al decisore i tipici errori che possono accadere in una situazione decisionale. La consapevolezza può incrementarsi attraverso la formulazione di esempi. Il ‘considerare le alternative’, ovvero cercare sempre di considerare possibili soluzioni, sviluppando la tendenza ad andare oltre la prima scelta. La ‘metacognizione’, riguardante la capacità di imparare a riflettere sul proprio processo di pensiero. Il ‘diffidare della memoria’, riconoscendone la fallacia. Il ‘training specifico’, che si attua fornendo un’adeguata formazione al ragionamento probabilistico e riconoscendo la fallacia del ragionamento euristico. La ‘simulazione’, che avviene costruendo scenari esemplari in cui mostrare percorsi di ragionamento con le relative conseguenze. La ‘semplificazione dei compiti’ e l’’ottimizzazione delle informazioni’, che avviene ottenendo informazioni dettagliate circa specifici problemi per poter ridurre la complessità e le aree di ambiguità del compito ed organizzando le informazioni al fine di poter avere accessi rapidi ed efficaci. La ‘diminuzione della pressione’, che si può attuare pianificando i tempi delle decisioni in modo da diminuire lo stress correlato. Il ‘feedback’, che si può ottenere fornendo riscontri rapidi e attendibili agli operatori in modo da poter cogliere il nesso fra processi ed esiti decisionali, in modo da calibrare le future scelte in contesti similari.
Come monito finale del percorso di presa di decisione non va mai dimenticato che la presa di decisione così come la stessa acquisizione della conoscenza sono sempre accompagnate da vissuti emotivi che hanno un loro peso nelle scelte che compiamo (Pontremoli, 2012). Quando l’uomo sceglie, ha come obiettivo un soddisfacimento. Da un punto di vista economico-dinamico l’energia psichica – lo psichico non coincide con il cosciente – nella scelta, può fluire liberamente oppure essere ‘legata’ prima di scorrere in modo controllato: il soddisfacimento viene differito, permettendo l’esecuzione di esperimenti mentali che saggiano le diverse vie possibili di soddisfacimento. In un recente libro intitolato Il sé viene alla mente Damasio riporta un esperimento del professor Ap Dijksterhuis, psicologo olandese, che mostra quante siano le influenze inconsce, ad esempio, nei processi decisionali (Damasio, 2010). In sintesi Damasio vuole sottolineare la complessità e la varietà dei meccanismi che stanno dietro alla facciata del controllo cosciente (che si suppone perfetto), senza tuttavia negare le facoltà di scelta e senza sollevare l’individuo dalla responsabilità delle sue azioni. Gli esperimenti mentali servono per distinguere e determinare, tra più cose o persone, la scelta più adatta allo scopo o più conveniente alle circostanze: permettono di scegliere ragionando.
Esistono almeno tre tipi di ragionamento, i primi due giusti e l’altro errato: ragionamento dimostrativo (o dimostrazione), in cui le premesse sono assunte come vere, e quindi non discutibili, le inferenze sono deduttive ed è fissato da regole rigide codificate dalla logica e la conclusione segue in modo necessario e non discutibile; ragionamento argomentativo (o argomentazione), in cui sia le premesse, sia le inferenze sono suscettibili di critica e quindi la conclusione cui si giunge non è necessaria; ragionamento fallace (o fallacia), in cui una o più inferenze sono invalide e perciò va rigettato anche se le premesse sono vere.
Nel counseling abbiamo a che fare con gli ultimi due e i counselor devono tenere presente che ogni argomento rimanda ad un sistema di credenze, ritenuto condiviso. Gli errori in un ragionamento differiscono dagli errori fattuali, che sono semplicemente l’aver torto sui fatti. Una fallacy è un’argomentazione nella quale le premesse date per la conclusione non danno il necessario grado di supporto. Le fallacie più comuni sono le seguenti: argomentum ad personam, tu quoque, straw man, ricorso alla popolarità, ricorso alla tradizione, nitidezza fuorviante/campione non rappresentativo, pendio scivoloso, argomentum ad verecundiam, falsa dicotomia, fallacia naturalistica, petitio principii, non sequitur, fallacia ad ignorantiam, argomentum ad auctoritatem (Boniolo et al., 2011).
Il counselor, per potenziare nel cliente le abilità argomentative, dovrà riconoscerne le fallacie. Ad esempio, l’argomentum ad auctoritatem viene utilizzato quando, per sostenere un argomento, si fa riferimento non a ragioni, ma al fatto che un personaggio ritenuto autorevole sostiene la stessa cosa. Questa fallacia si può manifestare con questo convincimento: “Lui dice che….”. Un cliente che dovesse manifestare il proprio pensiero in tal maniera, dovrebbe essere stimolato a valutare soggettivamente la questione e non ‘per delega’ ad altri (tutti). Ciò comporterà un lavoro di analisi della questione, fino ad arrivare, in maniera maieutica, ad una propria verità.
L’argomentum ad personam, invece, si ha quando l’argomentazione è diretta contro una persona, piuttosto che contro ciò che la persona dice, allo scopo di dimostrare che ciò che dice non può essere vero. Perciò la persona dirà cose del genere: “Non è vero quello che dice x contro la questione y, visto anche x è implicato nella questione y”. In questo caso il fatto che chi sostiene una certa tesi sia lui stesso implicato in una questione, non toglie validità ai suoi argomenti; eventualmente si può dire che è incoerente, ma questo non è rilevante nella bontà o meno dei suoi argomenti. Ad esempio, se sostengo che fare sport in alcuni casi è salutare ed adduco valide argomentazioni, ma io non pratico sport, ciò non significa che il mio argomento non sia buono.
Esercitare all’implementazione dell’argomentazione significa riconoscere le fallacie del cliente, ma anche farle riconoscere a lui stesso.
Se il lavoro è stato svolto con efficacia, il cliente argomenterà bene, ovvero con umiltà, senza presunzione; elaborerà le proprie considerazioni, riflessioni, opinioni, evitando la conflittualità; porrà in evidenza le prove a sostegno delle proprie idee, senza confonderle con le proprie opinioni; darà ordine logico e consequenzialità al proprio discorso ed usare un linguaggio semplice, essenziale, aderente alle cose, senza perifrasi ed inutili ripetizioni. Una buona discussione sarà frutto di un atteggiamento mentale e morale; quello di chi sa che la verità non è mai il possesso di qualcuno, ma il frutto provvisorio e parziale di una ricerca comune. Questo, a mio avviso, è il monito che bisognerebbe sempre avere in mente perché favorisce un atteggiamento che definirei di tolleranza nei confronti di sé e degli altri.
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Note
1 Nella teoria dei sistemi, la logica fuzzy è il tipo di rappresentazione ideato verso la fine degli anni Settanta da L.A. Zadeh, della University of California a Berkeley, ma affermatosi solo a partire dagli anni Novanta. L’aggettivo fuzzy, generalmente non tradotto in italiano, potrebbe essere reso con ‘sfocato’ o ‘sfumato’. Nella logica fuzzy è possibile considerare un determinato valore non come esclusivamente appartenente a un singolo insieme, bensì come simultaneamente appartenente, anche se in misura differente, a più insiemi distinti. Per esempio, il concetto ‘tiepido’, che di fatto si pone in una posizione intermedia fra caldo e freddo, può essere considerato come appartenente per il 50% all’insieme caldo e per il 50% all’insieme freddo. Questo modo di procedere fornisce, quindi, la possibilità di rappresentare la gamma di valori compresa fra due valori estremi e permette il passaggio da un estremo a un altro in maniera graduale e progressiva. Cfr. Fuzzy Sets, Fuzzy Logic, and Fuzzy Systems. Selected Papers by Lotfi A. Zadeh di Zadeh (Zadeh, 1996).
2 Purtroppo la consultazione del Thesaurus Linguae Latinae, il monumentale dizionario di latino, dalle sue origini fino alla latinità altomedievale di Isidoro di Siviglia, non può offrire ulteriore aiuto, dato che il volume ‘R’ non è ancora stato pubblicato essendo arrivati alla ‘O’.
3 Cfr. Freud S. (1924). Der Realitätsverlust bei Neurose und Psychose. Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, vol. 10(4), 374-79 (trad.it: La perdita della realtà nella nevrosi e nella psicosi in Opere, vol. 10. Torino: Bollati Boringhieri).
4 Cfr. Kant I. (1781), pp. 382-83.
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