Abstract
Il nome “Biosistemica,” in base alla sua composizione, ci dà indicazioni relativamente ai presupposti e metodi su cui si basa. “Bio” fa riferimento alle dimensioni biologiche, neurofisiologiche ed embriologiche inerenti la componente organica della corporeità.
“Sistemica” fa riferimento alla teoria generale dei sistemi in base alla quale è possibile concepire l’individuo come un sistema costituito da sottosistemi in interrelazione fra di loro. L’oggetto centrale di riferimento è quindi costituito dalle emozioni, in quanto fenomeno cruciale dal punto di vista clinico ed epistemologico dell’esperienza umana. L’emozione caratterizza permanentemente il vissuto ed il funzionamento dell’uomo, dato che, per definizione, comprende in sé i processi fisiologici, le reazioni comportamentali, gli aspetti relazionali e i contenuti cognitivi di ogni esperienza umana nella sua completezza e complessità. L’emozione è infatti un crocevia dove si incontrano istanze differenti: sensazioni viscerali, movimenti muscolari, pensieri e immagini; tutto questo all’interno di una cornice ambientale che ne plasma l’origine e ne sovradetermina il senso. E proprio l’emozione è al centro del processo di counseling biosistemico, un processo che mira a potenziare nella persona la capacità di gestire e padroneggiare le emozioni stesse. In una parola, il counselor biosistemico aiuta il cliente a una maggiore competenza nella regolazione emozionale. Il nucleo dell’intervento è costituito infatti dal cambiamento delle strategie di auto e mutua regolazione dei flussi emotivi, nelle sue componenti cognitive, immaginative, sensoriali e motorie. Detto in altri termini, il lavoro del counselor biosistemico ha almeno due vie da seguire, quella verbale e quella corporea.
Keywords
Biosistemica, emozioni, sistema nervoso
Il counseling biosistemico
Il nome “Biosistemica,” in base alla sua composizione, ci dà indicazioni relativamente ai presupposti e metodi su cui si basa. “Bio” fa riferimento alle dimensioni biologiche, neurofisiologiche ed embriologiche inerenti la componente organica della corporeità. “Sistemica” fa riferimento alla teoria generale dei sistemi in base alla quale è possibile concepire l’individuo come un sistema costituito da sottosistemi in interrelazione fra di loro.
Per delineare la struttura teorica biosistemica nell’ambito del counseling, possiamo dire che l’osservazione del counselor e il suo approccio metodologico si incentrano sull’emozione, in quanto fulcro centrale del vissuto, sia fisiologico che patologico; l’emozione è letta qui essenzialmente con mappe neurofisiologiche ed embriologiche, e al tempo stesso ne viene sottolineata la valenza sistemico-relazionale, in quanto costitutiva dell’esperienza sociale umana.
L’oggetto centrale di riferimento è quindi costituito dalle emozioni, in quanto fenomeno cruciale dal punto di vista clinico ed epistemologico dell’esperienza umana. L’emozione caratterizza permanentemente il vissuto ed il funzionamento dell’uomo, dato che, per definizione, comprende in sé i processi fisiologici, le reazioni comportamentali, gli aspetti relazionali e i contenuti cognitivi di ogni esperienza umana nella sua completezza e complessità.
L’emozione è, infatti, un crocevia dove si incontrano istanze differenti: sensazioni viscerali, movimenti muscolari, pensieri e immagini; tutto questo all’interno di una cornice ambientale che ne plasma l’origine e ne sovradetermina il senso.
E, proprio l’emozione, è al centro del processo di counseling biosistemico, un processo che mira a potenziare, nella persona, la capacità di gestire e padroneggiare le emozioni stesse. In una parola, il counselor biosistemico aiuta il cliente a una maggiore competenza nella regolazione emozionale.
Il nucleo dell’intervento di counseling è costituito infatti dal cambiamento delle strategie di auto e mutua regolazione dei flussi emotivi, nelle sue componenti cognitive, immaginative, sensoriali e motorie.
Detto in altri termini, il lavoro del counselor biosistemico ha almeno due vie da seguire, quella verbale e quella corporea.
L’inizio di ogni cronico disagio esistenziale, secondo l’ottica biosistemica, può infatti essere individuato nello sdoppiamento di due circuiti essenziali: quello delle ideazioni mentali e quello del vissuto corporeo. Se scissi, il corpo non ha più parole per nominare le sensazioni (potrà esprimersi attraverso sintomi psicosomatici), né la mente potrà parlare di ciò che il corpo non sente, perché inibito nella sensazione (e il disagio si esprimerà attraverso un continuo brusio mentale indistinto di sottofondo). L’emozione rappresenta l’evento psicosomatico per eccellenza, l’elemento trasversale che unifica lo psichico e il somatico, il terreno d’incontro tra pensieri e sensazioni corporee. Quando il linguaggio (la mente) e il suo “inconscio” (il corpo) si incontrano, si producono non più solo parole, ma azioni, fatti concreti e l’emozione sboccia come qualità emergente dell’interazione tra le componenti del sistema complessivo (pensieri, sensazioni, azioni).
Il counselor Biosistemico presta perciò attenzione non solo all’aspetto simbolico del linguaggio, ma anche all’aspetto espressivo delle parole, intese come prolungamento degli arti, come parole a cui sia data corporeità. Si passa dalla scoperta del gesto come parola non detta (attraverso la lettura della comunicazione non verbale), alla parola come gesto non fatto (fornendo un nome alle sensazioni e ai gesti inibiti). L’intervento di counseling biosistemico si pone come obiettivo il ripristino del ciclo emotivo, non attraverso lo svelamento di verità nascoste, ma attraverso la costruzione della “verità”, sulla base di ciò che appare nel “qui e ora” in assenza di interpretazioni e riferimenti a patologie: amplificando l’emozione, “pensando con il corpo”, creando i movimenti, l’emozione si trasforma in qualcosa di inatteso, di nuovo. Si tratta di una trasformazione qualitativa dello stato globale della persona, di un aumento della complessità connessa allo stato di salute, in antitesi con un impoverimento della complessità psicocorporea del soggetto.
La sofferenza psicologica
La sofferenza, secondo il modello Biosistemico, può essere ricondotta alla sovrapposizione di processi diversi:
- Dietro a sensazioni fisiche di disagio, spesso si celano emozioni bloccate, frequentemente riconducibili a esperienze primarie di inibizione d’azione di fronte allo stress (Laborit, 1979), situazioni, cioè, in cui non è stata possibile né una reazione di attacco, né una di fuga. Le reazioni impedite si scaricano all’interno del soggetto, comportando una secrezione ormonale, tipica dello stress (noradrenalina e corticosteroidi), che protratta nel tempo può anche originare malattie psicosomatiche.
- Le emozioni bloccate possono cristallizzarsi in posture specifiche, connesse ai vissuti corporei che le accompagnavano, andando a creare una memoria “muscolare” sepolta dietro la sofferenza fisica. Lavorare sulla parte del corpo contratta, attraverso esercizi fisici, contatto, massaggi, specifiche posizioni corporee, può significare lavorare direttamente sull’emozione bloccata. Il lavoro posturale consente di accedere alla memoria corporea e di recuperare stadi di sviluppo non interamente vissuti, attraverso l’espressione dei vissuti emozionali connessi, che emergono come risultato dell’interazione sistemica di pensieri- sensazioni-azioni
Ma quale meccanismo “custodisce” il blocco emozionale e può allo stesso tempo scioglierlo? Per comprenderlo, vediamo prima una descrizione del Sistema Nervoso Autonomo e del suo funzionamento.
Il Sistema Nervoso Autonomo
Il Sistema Nervoso Autonomo (SNA), conosciuto anche come sistema nervoso vegetativo o viscerale, è un insieme di cellule e fibre nervose che innervano gli organi interni e le ghiandole, controllando le funzioni vegetative involontarie. Ha la funzione di regolare l’omeostasi dell’organismo ed è un sistema neuromotorio che opera con meccanismi autonomi di controllo della muscolatura liscia, dell’attività cardiaca e dell’attività secretoria ghiandolare. È costituito da porzioni anatomicamente e funzionalmente distinte, ma sinergiche.
- Il Sistema Nervoso Simpatico: produce accelerazione del battito cardiaco, dilatazione dei bronchi, aumento della pressione arteriosa, vasocostrizione periferica, dilatazione pupillare, aumento della sudorazione (tipiche risposte dell’organismo a una situazione di allarme, lotta, stress). I mediatori chimici di queste risposte vegetative sono la noradrenalina, l’adrenalina, la corticotropina, e diversi corticosteroidi.
- Il Sistema Nervoso Parasimpatico (chiamato anche Attività Vagale): produce un rallentamento del ritmo cardiaco, un aumento del tono muscolare bronchiale, dilatazione dei vasi sanguinei, diminuzione della pressione, rallentamento della respirazione, aumento del rilassamento muscolare, vasodilatazione a livello dei genitali, delle mani e dei piedi (normale risposta dell’organismo ad una situazione di calma, riposo, tranquillità ed assenza di pericoli e stress). Il mediatore chimico dell’attività parasimpatica è l’acetilcolina.
Il nostro corpo, in ogni momento, si trova in una situazione determinata dall’equilibrio o dalla predominanza di uno di questi due sistemi nervosi. La capacità dell’organismo di modificare il proprio bilanciamento verso l’uno o l’altro sistema, è fondamentale per il suo equilibrio dinamico, sia dal punto di vista fisiologico che psicologico. Disfunzioni in tale alternanza sono alla base di disagi, disturbi, o vere patologie non solo sul piano strettamente organico, ma anche psicologico. La Biosistemica ha avuto il merito di integrare le scoperte di Gellhorn (1967) relative al funzionamento fisiologico del Sistema Nervoso Autonomo con la comprensione delle ricadute sul benessere complessivo della persona della mancanza di armonia nell’alternanza dei due assi del Sistema stesso, aprendo nell’ambito delle relazioni di aiuto scenari di intervento innovativi.
L’alternanza dei Sistemi Simpatico e Parasimpatico
Il bilanciamento dell’attività simpatica e parasimpatica è un parametro misurabile. Ernst Gellhorn alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso (Gellhorn, 1967) condusse delle ricerche sul funzionamento dei due assi vegetativi, da cui emerse che il Sistema Nervoso Autonomo funziona in modo sano quando le sue due componenti – il Simpatico attivante e il Parasimpatico rilassante – lavorano reciprocamente scaricandosi uno dopo l’altro. Il ciclo disfunzionale si ha quando i due assi lavorano insieme, sommandosi nella scarica contemporanea (Liss, 1986). Dal momento che la loro azione è opposta – dispendio di energia, recupero di energia – solo con un funzionamento alternato è possibile l’espletamento delle diverse funzioni. L’alternanza tra i due Sistemi è garantita dal fenomeno naturale del “rimbalzo”: quando un’azione viene portata a termine con un efficace dispendio di energia (scarica del Simpatico), si realizza una spontanea riduzione dell’attività del Simpatico e un simultaneo aumento dell’attività del Parasimpatico. Allo stesso modo, quando il recupero di energie è adeguatamente raggiunto, spontaneamente l’attività del Parasimpatico si esaurisce e si riattiva il Simpatico. La pienezza della scarica garantisce il rimbalzo.
Gellhorn sottopose animali da laboratorio a stress prolungato (somministrazione di cibo in associazione imprevedibile con il rilascio di scosse elettriche). L’animale sviluppava una nevrosi sperimentale, i cui sintomi erano riconducibili alla scarica contemporanea sia del Sistema Simpatico che del Parasimpatico. La simultaneità d’azione e l’assenza del rimbalzo erano causa della nevrosi.
Lo stato disfunzionale può essere dato, oltre che dal meccanismo di “somma” della scarica del Simpatico-Parasimpatico, anche dalla “dissociazione” tra le due componenti: in questo caso sono totalmente “fuori sincronizzazione” l’una rispetto all’altra, non influenzandosi reciprocamente. Pertanto, il funzionamento vegetativo mostra di essere adeguato e capace di generare benessere, nella misura in cui oscilla ritmicamente e in modo alternato, secondo cicli prestabiliti che richiamano l’andamento ondulatorio descritto nel capitolo uno, tipico di buona parte dei fenomeni fisici e organici.
Le applicazioni psicoterapeutiche della Biosistemica
Liss ha applicato ed esteso la ricerca di Gellhorn alle emozioni umane. Anche la natura delle emozioni è connessa col predominio di ciascuno dei due sistemi e la tipica onda energetica caratterizza anche l’espressione del flusso emozionale. Le emozioni possono essere attive (dominate dal simpatico), o ricettive (dominate dal parasimpatico). La loro espressione si modulerà in modo adeguato secondo i meccanismi di carica e scarica:
- le emozioni attive, se l’azione di scarica è portata a termine, rimbalzano in uno stato di calma, calore, pienezza;
- le emozioni ricettive richiedono durante la scarica un contatto fisico o psicologico, perché ci sia il rimbalzo
Le emozioni che creano disagio sono emozioni bloccate a causa di un alterato funzionamento dell’alternanza simpatico/parasimpatico, che ne impedisce l’adeguata scarica con rimbalzo. Le emozioni bloccate sono avvertite come tensione e possono provocare malattie psicosomatiche, ansia, depressione, disturbi psicotici. I sintomi organici saranno diversi in funzione dell’attivazione neurovegetativa:
- sintomi di predominio del Simpatico: agitazioni, palpitazioni, nervosismo, insonnia, ipertensione, vulnerabilità alle infezioni, mal di testa, mal di schiena cronico.
- sintomi di predominio del Parasimpatico: affaticamento, vertigini, nausea, vomito, diarrea, stitichezza, altri disturbi gastrointestinali, obesità, passività cronica e depressione, perdita di autostima, isolamento sociale.
In sintesi, ogni emozione può avere due versioni: una versione dinamica nella quale è presente l’alternanza Simpatico-Parasimpatico, e una versione cronica o stagnante nella quale tale alternanza è andata perduta. Nella forma dinamica permane un andamento simile ad un’onda, cioè, dato da una sequenza di intensificazione seguita da una diminuzione: l’emozione è intimamente connessa all’andamento ondulatorio dei processi del sistema vegetativo. Nella forma stagnante o cronica, al contrario, l’emozione ha un andamento prolungato, senza questa sequenza di intensificazione-diminuzione. La connessione con il ritmico e alternato processo vegetativo è stata perduta, e la persona può sentirsi imprigionata in questo stato emotivo per lungo tempo.
L’obiettivo del counseling è quindi lo sblocco emozionale, attraverso il rimbalzo della scarica energetico-emozionale e quindi il ripristino della reciprocità di funzionamento del Sistema Nervoso Autonomo. Il counselor valuta quale pulsione sia prevalente, il Simpatico o il Parasimpatico, e segue nei suoi interventi la curva energetica. Spesso un’emozione si esprime su un livello (rabbia, nel simpatico) e se ben scaricata, rimbalza spontaneamente sull’altro (ferita, nel parasimpatico).
Stadi del processo biosistemico
Quando si comincia una relazione di counseling è bene, fin dai primi colloqui, costruire insieme quello che è l’obiettivo del lavoro, “formulare un’ipotesi di lavoro” che andrà verificata nel corso del tempo di tanto in tanto ci dovremo chiedere se gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti e se è necessario riformularne di nuovi o interrompere il percorso. Questo per evitare di procedere senza meta e ritrovarci con un cliente insoddisfatto che ad un certo punto ci dica che gli incontri non sono serviti a nulla.
Giorgi individua alcune fasi fondamentali all’interno del processo di sviluppo biosistemico, evidenziando che anche se nella pratica il tempo occupato da ognuna di queste può variare da incontro a incontro è importante che ogni volta il processo venga completato, così che ogni incontro sia una parte compiuta, seppure all’interno di un processo più ampio; è per questo il tempo di una incontro può variare dai 40 ai 90 minuti:
Empatia, sentire al proprio interno le emozioni che dominano la persona. Prendere contatto con la sua unicità. Far sì che lui si senta accolto, compreso, non giudicato e quindi libero di esprimersi. È in primis attraverso “l’ascolto profondo” (Liss, 2004) e poi utilizzando strumenti come il rispecchiamento dei gesti, la ripetizione di parole chiave, l’incoraggiamento e l’apprezzamento che si cerca di creare quel rapporto di fiducia e quel calore che consente al lavoro terapeutico di partire.
Intensificazione, il lavoro di counseling dovrebbe consentire al cliente di lasciare il proprio livello di coscienza ordinaria per spingersi a livelli di consapevolezza più profondi, focalizzandosi verso il proprio mondo interiore. Tutto questo avviene attraverso domande aperte, rievocazioni di immagini dolorose o di frasi cariche di vissuti emotivi, ma può essere intensificato attraverso l’utilizzo della respirazione profonda, delle varie posizioni di grounding, il chiudere gli occhi (che favorisce il contatto con il mondo interno), oltre all’amplificazione dei gesti, cioè passando ad una esplorazione psicocorporea dei vissuti esplicitati. Sono importanti domande come “dove senti questa emozione?” “dove la collocheresti nel tuo corpo?” “prova a toccare quella parte!” “Prova ad aumentare la pressione lì e a respirare più profondamente”. A questo punto il contatto fisico, che si esplica prima toccando la mano del soggetto e poi direttamente la parte del corpo portatrice dello stress, creano le condizioni per l’approfondimento. È importante notare che in questa fase in cui emergono vissuti a volte molto antichi nel cliente, il counselor sta sul corpo e sull’emozione, e rinuncia a qualsiasi tipo di interpretazione.
Approfondimento emotivo: l’assenza di giudizio e il contenimento protettivo sono condizione necessaria del setting in questa fase. È bene chiarire come in questo contesto protetto il soggetto possa sentirsi libero di esprimere se stesso senza il timore di sentirsi giudicato, ma con il senso di responsabilità e la consapevolezza che implica un lavoro di approfondimento dei propri vissuti di cui è lui il protagonista. In questa fase, l’osservazione di tutto quello che si verifica in modo spontaneo, deve aiutarci a comprendere quale direzione far prendere al lavoro. Suoni, parole, brevi frasi possono accompagnare l’azione. Il counselor può ripeterle e incoraggiare la persona a fare lo stesso, alzando il tono della voce in una crescente attivazione del sistema simpatico, al fine di permettere ulteriori trasformazioni cognitivo-emotive, verso una maggiore e più consapevole conoscenza di sé. L’esplorazione dovrebbe sempre comprendere due aspetti: l’episodio (o evento scatenante) e l’emozione. La descrizione dell’evento dovrebbe consentire di creare la memoria, avendo un’immagine più realistica e lucida di cosa è accaduto e del ruolo svolto da tutti i personaggi; analizzare l’emozione, dandogli spazio e tempo, ci consente di mantenerla nella coscienza il tempo necessario a comprenderla, tutto questo permette anche di contenere le emozioni stesse evitando di essere travolti da esse; infine dopo “cosa è accaduto?” e “come si è sentito?” sarà possibile domandare “cosa può fare adesso per risolvere il problema?”, ovvero cercare una soluzione. Come dice Liss qui la sfida per l’Ascoltatore Empatico è rinunciare alla soddisfazione di proporre soluzioni, perchè la difficoltà è tollerare la sensazione di disagio viscerale che nasce quando c’è un problema da risolvere. Per alcune persone una buona analisi del problema e delle loro modalità di gestire le situazioni, può bastare come spinta al cambiamento, ma a volte non basta ed è necessario “elaborare una modalità concreta di azione per il futuro, all’inizio sul piano mentale e poi nella pratica del gioco di ruolo”. È molto importante passare dall’astrattezza a esempi concreti, entrando in analisi dettagliate con “chi”, “dove”, “quando”, sia nella descrizione delle situazioni problematiche sia nella ricerca di soluzioni; sperimentando nuovi modi di comunicare, come ricerca creativa e cooperativa con l’altro, dove nessuno ha già le risposte ma si lavora e si sperimenta insieme.
Vissuto di riparazione: dalla fase precedente si rimbalza rapidamente verso stati emotivi opposti, alternando l’attivazione dei sistemi Simpatico e Parasimpatico. Sperimentare situazioni inusuali, emozioni, sensazioni fisiche, stati d’animo nuove può favorire un modello per il superamento delle situazioni problematiche, “un’esperienza emozionale correttiva” (Alexander, 1969) vissuta con il counselor, può fornire nuove strategie d’azione ma soprattutto nuovi modelli cognitivi. È questo il tempo per il soggetto di esplorare le emozioni più dolorose e guardare a tutte le proprie contraddizioni e le parti di sé più difficili da accettare senza esserne distrutto. Per il protagonista trasformare in parole ciò che prova non sarà necessariamente immediato, potrà richiedere del tempo, in tal senso “una verbalizzazione empatica del counselor, che utilizza la propria cassa di risonanza interna per amplificare e rendere più chiaro quello che è successo, aiuta il soggetto ad andare avanti nel suo lavoro di ricerca” (Liss, Stupiggia, 2005), fino a quando non si sentirà di poter descrivere da solo ciò che sente e condividerlo con una persona attenta ed empatica.
Integrazione, è l’obiettivo cruciale del nostro approccio; è infatti la disconnessione tra le varie parti di sé (emozioni e pensieri, mente e corpo a caratterizzare il malessere psichico), che si realizza in condizioni di sofferenza come meccanismo difensivo, e utilizzato in modo massivo finisce per cronicizzarsi. Nel nostro lavoro si sviluppa gradualmente una sempre maggiore conoscenza di sé, un maggior contatto con le proprie emozioni, con le parti di sé più sgradevoli e più difficili da accettare e comprendere; questo consente di comprendere che alcune modalità di pensiero e di azione, che potevano essere funzionali e adattive nel passato, non lo sono più, perché sono mutate le condizioni esterne o le sue risorse. Se è possibile sperimentare strategie nuove per affrontare i problemi in modo più costruttivo è possibile gradualmente lasciare le difese distruttive non più necessarie. L’integrazione, quindi, deve consentire gradualmente la piena accettazione di sé, un aumento dell’autostima e la necessaria spinta al cambiamento.
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