Il primo numero di una rivista è sempre un po’ speciale. Se poi si tratta della prima rivista italiana che si propone di parlare di counseling in modo trasversale e rispettoso dei singoli approcci, coniugando il rigore della scientificità all’apertura mentale e teoretica, oltre che epistemologica, lo è ancora di più. Il senso della Rivista Italiana di Counseling, tuttavia, non si esaurisce nel “parlare” di counseling in modo rigoroso, diffondendo e stimolando la co-costruzione di un sapere condivisibile, il confronto di pratiche e la discussione delle esperienze; la Rivista Italiana di Counseling si fa partecipe a tutto tondo della creazione e della crescita verso la maturità di quella che è la cultura del counseling italiano.

Cultura intesa nel suo significato più ampio di diffusione responsabile di pensiero, ma anche cultura specifica di una professione e di un campo di studi ben determinato e delimitato, che attinge a saperi condivisi con altre discipline, come avviene nell’epistemologia della complessità che traccia i sentieri di ricerca, di studio e di azione della scientificità del periodo storico e del contesto nel quale ci troviamo.

In quest’ottica di complessità, che potrebbe essere considerata il fil rouge di questo primo numero, viene a inserirsi il contributo proposto da Pontremoli, dove l’abilità argomentativa e la logica del pensiero si prestano come strumenti polivalenti, ma ben lontani dall’essere polimorfici, per la crescita personale e la costruzione di narrazioni condivise. Strumento, ma al contempo fattore di resilienza e modalità di pensiero, connotante e promotrice di valori morali e di cambiamento, la “buona discussione”, come la definisce Pontremoli, si declina nel quotidiano del counselor e del cliente come una modalità di essere coerente e coesa, capace di mettersi in discussione e di riconoscere le proprie fallacie (merito che saremmo felici di poter attribuire, oltre che a noi stessi, anche alla nascente rivista che siamo a proporvi). La stessa complessità potrebbe offrirsi come chiave di lettura della “narrazione copionale” di cui tratta Cosso: una narrazione che si svela soltanto quando diventa possibile acquisire un punto di vista “altro”, allargare il campo fino a includere nel vissuto la visione stessa di esso. Bimbo, Stupiggia e Quadrino, nella loro diversità di approcci e di quadri di riferimento, convergono sul piano della complessità proprio quando utilizzano pensieri, orientamenti, strumenti e metodologie che attingono rispettivamente all’integrazione dei saperi, alla compenetrazione di trame sistemiche e riferite alla neurofisiologia e alla non linearità nella costruzione stessa dei momenti formativi.

Il primo numero della Rivista Italiana di Counseling rispecchia così proprio nella complessità ciò che nel panorama attuale sembra presentarsi come il più florido e prolifico elemento di pensiero, quello che ammette e valorizza la molteplicità di punti di vista senza tentare operazioni riduzionistiche, quello che stimolala co-costruzione di saperi e la condivisione aperta di riflessioni basate sul terreno comune della scientificità ma capaci di coniugare lo spirito di ricerca all’entusiasmo e alla preziosa umiltà che connotano, caratterizzano e fondano l’essenza stessa del counseling.

Edoardo Bracaglia
Editor

© Riproduzione riservata